editoriali
L'intervento annunciato da Salvini sui mutui variabili è costruito per creare problemi
I continui interventi sugli istituti di credito possono avere un unico risultato, cioè indurre le banche stesse a rendere più onerosa l’erogazione di credito
Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha detto che il governo sta “lavorando con il ministero dell’Economia e con le banche per allungare le rate di chi ha un mutuo a tasso variabile”. Come spesso accade, anche in questo caso le buone intenzioni non sono un buon criterio per la politica economica. Quando il prezzo di un bene cresce è perché quel bene sta diventando più scarso: i mercati, attraverso il sistema dei prezzi, suggeriscono ai consumatori che devono domandarne di meno. Il credito non fa eccezione. La Banca centrale europea sta perseguendo una politica di rialzo dei tassi perché questo è l’unico modo per contrastare l’ondata inflativa che sta mettendo in seria difficoltà le economie europee. Una conseguenza, indesiderata ma inevitabile, è l’incremento delle rate dei mutui a tasso variabile.
Chi li ha sottoscritti ha fatto una scommessa: ha scelto di approfittare della fase di tassi (sotto) zero per evitare di sottoscrivere un tasso fisso che, in quel momento, appariva più oneroso. Per molto tempo ne ha tratto vantaggio: adesso la marea si è girata. I continui interventi sugli istituti di credito, finalizzati a sovvertire l’esito di tale scommessa, possono avere un unico risultato, cioè indurre le banche stesse a rendere più onerosa l’erogazione di credito per contrastare il rischio di trovarsi schiacciate tra un andamento rialzista dei tassi e il tentativo dei governi di schermare i mutuatari da tale fenomeno.
Lasciar funzionare il mercato non significa non rendersi conto che alcuni individui possono trovarsi in difficoltà: il governo dovrebbe concentrarsi su questi, prevedendo aiuti focalizzati solo a vantaggio di chi, a causa del caro mutui, rischia di non arrivare a fine mese. Naturalmente ciò richiede adeguate coperture e, dunque, la rinuncia ad altre spese. A quasi un anno dall’insediamento, è bene che Salvini & Co. si rendano conto che stare al governo significa soprattutto prendersi la responsabilità delle proprie scelte: scaricare gli oneri delle decisioni su terzi, banche incluse, non è né saggio né possibile.