Editoriali
No, Evergrande non è la nuova Lehman Brothers
Niente panico sulle borse mondiali dopo il ritorno, e tracollo, sui mercati del colosso immobiliare cinese. Nessun rischio di "contagio" economico
Nella notte tra domenica e lunedì il colosso immobiliare cinese Evergrande è tornato alla Borsa di Hong Kong dopo un anno e mezzo di sospensione a causa della crisi che l’ha travolto e ha perso oltre l’80 per cento del valore. Adesso le sue azioni quotano poco più di 0,22 dollari, praticamente sono delle “penny stock”, come gli investitori americani usano chiamare quelle di basso, bassissimo prezzo. Fosse successo a Wall Street che un gigante del real estate avesse visto tracollare il valore di mercato si sarebbe innescato il panico sulle borse mondiali, e invece ieri non è successo nulla, anzi: le piazze europee sono andate più che bene e anche quella statunitense ha aperto positivamente. Molti analisti lo avevano previsto: Evergrande non sarà la nuova Lehman. Ieri è arrivata la conferma che la crisi che sta travolgendo gli sviluppatori immobiliari cinesi, che per vent’anni hanno goduto di ingenti finanziamenti governativi (anche Country Garden è tra questi e dà segni di scricchiolio), resta per adesso circoscritta. Come spiega al Foglio Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim, uno dei più attenti osservatori del crac di Lehman Brothers, la crisi cinese ha due aspetti, uno finanziario e uno macro. “L’aspetto finanziario spaventa meno perché la Cina è un sistema chiuso e il debito del settore immobiliare è verso la Cina stessa”. Se la bolla immobiliare cinese è scoppiata e non si avverte nel resto del mondo la spiegazione è che non ci sono obbligazioni legate al settore del real estate di Pechino disseminate nei portafogli degli investitori di mezzo mondo, come accadeva nel 2008 quando fallì la banca d’affari americana. “Ma attenzione all’aspetto macro”, avverte Cesarano, “quello sì che può avere un impatto a livello globale. Se la Cina arretra ne risentiranno sia le esportazioni europee sia le filiere manifatturiere del paese che sono molto importanti per l’economia mondiale”. Quella della Cina è così una crisi a due facce, per certi versi silenziosa, ma non per questo meno insidiosa.