editoriali
Lagarde mezza colomba: la Bce lascia i tassi invariati
Il board dell’Eurotower non rivede il costo del denaro ma non dà indicazioni sulle prossime mosse. Rispetto alla Fed, la Bce resta più cauta. Fino a quando?
Se la Bce sarà la prima Banca centrale a tagliare i tassi nel 2024 si vedrà, poiché la Fed potrebbe giocare d’anticipo in primavera. Intanto, la presidente Christine Lagarde marca un po’ le distanze dal collega Jerome Powell vestendo solo per metà i panni della colomba di Natale come ci si attendeva. Ieri il board dell’Eurotower, come previsto, ha lasciato invariato il costo del denaro, deludendo però i mercati per non aver fornito indicazioni sul possibile inizio del ciclo di tagli e per avere annunciato la fine dei reinvestimenti del Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme).
È innegabile, però, che quella che si sta aprendo è una nuova fase di politica monetaria. Già a ottobre la Bce si era presa una pausa dopo dieci aumenti consecutivi che hanno portato il tasso di deposito al 4 per cento, il più elevato da quando esiste la zona euro. Una corsa durata un anno e mezzo per spezzare le gambe all’inflazione, che a dicembre 2022 superava il 10 per cento. A distanza di un anno il quadro sta lentamente cambiando e per quanto il messaggio da “falco” che Lagarde ci tiene a trasmettere sia che il lavoro da fare per stabilizzare i prezzi non è ancora terminato, che non è il momento di abbassare la guardia, che di tagli di tassi per ora non si parla affatto tra i banchieri centrali, che tutto dipenderà ancora dai dati (“meeting by meeting”), la svolta appare vicina. Per l’Europa vuol dire un cambio di prospettiva, per l’Italia un allentamento della pressione sul rendimento dei titoli di stato. Ieri lo spread Btp-Bund, confermando il trend delle ultime settimane, si è ridotto a 167 punti base, il che equivale a un calo dei rendimenti dei titoli di stato decennali al 3,8 per cento dopo che si era avvicinato alla soglia del 5 per cento in ottobre-novembre. Vuol dire una riduzione del costo del debito per lo stato, che potrebbe favorire l’equilibrio dei conti pubblici e dare un po’ di ossigeno alla politica economica del governo.
E pazienza se il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha detto che Lagarde andrebbe rimossa dal suo incarico perché porta avanti una politica dannosa. Evidentemente, nei partiti di governo, dopo un paio di anni, si fatica a comprendere che l’inflazione è una tassa che colpisce tutti, in particolare le fasce più povere, e che l’eliminazione di questa tassa dipende dalla politica monetaria. L’obiettivo della Bce è riportare l’inflazione al 2 per cento in meno di due anni. I dati parlano chiaro: le nuove proiezioni macroeconomiche dell’Eurotower indicano un tasso d’inflazione al 5,4 per cento nel 2023, al 2,7 per cento nel 2024, al 2,1 per cento nel 2025 e all’1,9 per cento nel 2026. In modo speculare, la crescita del pil dell’Eurozona è prevista allo 0,6 per cento quest’anno, allo 0,8 per cento nel 2024, all’1,5 nel 2025 e nel 2026. Insomma, l’inflazione si sta gradualmente riducendo e, simultaneamente, ripartirà la crescita.
Di certo, la stretta monetaria non è stata indolore, come si è visto dal forte rallentamento dell’attività economica in autunno, anche superiore alle attese, ma di fatto l’Eurozona non è mai entrata in recessione, a differenza per esempio del Regno Unito, dove il pil è sceso dello 0,3 per cento nel mese di ottobre. E sicuramente il raggiungimento del target del 2 per cento per la Bce è un punto fermo e passa attraverso il mantenimento dei tassi elevati sufficientemente a lungo. Il mantra dell’“higher for longer” non è stato, infatti, abbandonato dall’Eurotower che però non parla più di inflazione che rimane “too high for too long”, retorica precedentemente usata. Il fatto è che i prezzi potrebbero rialzare la testa (a causa di tensioni sui beni energetici) nel breve periodo e anche dai salari ci si potrebbe attendere un’impennata, sebbene i profitti aziendali siano in calo (“se confermata, questa sarebbe un’ottima notizia”, ha detto Lagarde).
In conclusione, la Bce, rispetto alla Fed, resta più cauta e intenzionata a tagliare i tassi solo quando sarà pienamente convinta che l’inflazione possa scendere e restare al livello del 2 per cento, cosa che è improbabile prima della fine del 2024. La domanda è se attenderà quel momento per invertire il ciclo dei tassi oppure, come pare sia orientata a fare la Fed, taglierà un po’ prima.
tra debito e crescita