L'analisi
I postumi dell'ubriacatura da Superbonus sono fastidiosi, ma Giorgetti fa bene a smettere
Il Consiglio dei ministri ha approvato una sanatoria per il bonus edilizio, riducendo l'aliquota del 30 per cento. Giorgetti prevale in parte, ma l'esplosione dei costi pone interrogativi sull'uso delle risorse pubbliche
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dovrebbe pretendere l’approvazione per direttissima di una norma come quella voluta dal nuovo presidente dell’Argentina, Javier Milei, che impedisce l’utilizzo del termine “gratuitamente” in qualunque comunicazione istituzionale. Sarebbe forse un contentino solo formale – ma dal grande significato pedagogico – in cambio della sanatoria sul Superbonus, che lo stesso ministro aveva paragonato all’Lsd l’altro giorno in audizione alla Camera. Il Consiglio dei ministri di ieri ha infatti approvato una sorta di sanatoria, fortemente voluta da Forza Italia, per sostituire la tagliola sul Superbonus con un meccanismo più graduale: nessuna deroga o proroga, tranne per i contribuenti a basso reddito che potranno godere del 110 per cento anche se non hanno ancora terminato i lavori. Tutti gli altri dovranno accontentarsi, si fa per dire, dell’aliquota ordinaria del 70 per cento, ma non dovranno restituire i crediti già fruiti per la quota dei lavori effettuata nel 2023. Tutto sommato un compromesso equilibrato, che mostra come questa volta nello scontro tra Giorgetti e il resto del mondo (o del suo governo) l’abbia in gran parte spuntata il ministro dell’Economia.
Il Superbonus venne introdotto nel 2020 dal governo Conte II come misura per il rilancio dell’economia, messa in ginocchio dalla pandemia e dai lockdown. Pensato inizialmente come provvedimento temporaneo – ma quale provvedimento in Italia non nasce come temporaneo? – è stato via via rinnovato, andando ad aggiungersi al Bonus facciate e agli altri bonus edilizi. Nonostante i rischi di un credito fiscale illimitato fossero piuttosto chiari fin da subito, il Superbonus ha incontrato l’entusiastico supporto di tutti i partiti politici, che hanno fatto e ancora fanno a gara a chiederne rafforzamenti, proroghe ed estensioni. Inizialmente, la Ragioneria generale dello Stato aveva stimato un impatto sul bilancio di circa 35 miliardi di euro – e già pareva una spesa monstre. Non aveva fatto i conti con l’effetto moltiplicativo di un’aliquota superiore al valore nominale dei lavori e della cedibilità del credito, che ne hanno fatto una sorta di moneta fiscale parallela.
Risultato: la spesa per il Superbonus è esplosa, superando i 100 miliardi di euro (170 miliardi se si considerano tutti i bonus edilizi) nonostante la “stretta” (contestata da maggioranza e opposizione all’unisono) voluta da Giorgetti e Giorgia Meloni con un decreto a febbraio del 2023. All’epoca furono lasciate alcune eccezioni, per salvaguardare gli interventi già avviati. Si legge nella Nota di aggiornamento al Def: “Le spese sostenute nell’anno in corso sono in larghissima misura riferibili alle citate deroghe”. Sugli effetti economici dell’incentivo: “Si ritiene che lo stimolo esercitato dal provvedimento sull’attività economica e sul gettito fiscale non sia stato sufficiente a compensarne i costi”. Tradotto dal burocratese: è stato un bagno di sangue. E in queste poche settimane i costi sono ulteriormente lievitati.
Ora, che ci sia la volontà di salvare capra e cavoli, per non svantaggiare eccessivamente coloro che hanno avuto la sfortuna di rifarsi la casa troppo tardi, è comprensibile, anche perché se questi non avessero le risorse liquide per pagare, di mezzo ci andrebbero le aziende edili esecutrici dei lavori. Ma è ugualmente necessario tracciare una linea perché altrimenti non si arriverà mai a tappare questa colossale falla che ha assorbito dal bilancio pubblico in due anni e mezzo più di quanto, nello stesso periodo, sia costato l’intero sistema educativo. Se oggi l’Italia lamenta l’assenza di una politica industriale – per esempio l’indisponibilità delle risorse necessarie a tutelare l’industria manifatturiera dal caro energia, come ha fatto la Germania – è perché i soldi sono stati spesi nei bonus edilizi. Se mancano i denari per la sanità, per la scuola, per abbassare le tasse, per le opere pubbliche realmente necessarie o per qualunque altro fine si ritenga utile e desiderabile, è perché sono stati riversati nelle ristrutturazioni di meno di mezzo milione di edifici (su uno stock di circa 15 milioni).
Speriamo che la sanatoria di ieri metta davvero la parola fine a questo incredibile trip e che, soprattutto, la lezione sia stata appresa: non solo dai politici che irresponsabilmente hanno alimentato il mostro del “gratuitamente”, ma anche dalle strutture tecniche dello stato che non ne hanno compreso la portata e dalle parti sociali che, avendo creduto di trovare il potere di Mida, non si sono interrogate sul prezzo che tutti quanti, loro incluse, avrebbero poi dovuto pagare.
In un fortunato articolo del 1980, Milton Friedman paragonava l’inflazione all’alcolismo: “Quando cominci a bere c’è l’euforia, i problemi vengono dopo. Questo è il motivo per cui la tentazione di strafare è forte. Per quanto riguarda la cura è vero il contrario: quando smetti di bere stai male prima di stare bene. È il motivo per cui è difficile essere tenaci nella cura”. Per fortuna Giorgetti ha avuto la capacità di impedire ai suoi colleghi di ricadere in tentazione, ma la strada verso la disintossicazione è ancora lunga.