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Su Ilva il governo lavora a un "divorzio consensuale" con Arcelor Mittal

Redazione

L'esecutivo ha annunciato di voler percorrere la strada della separazione di comune accordo per evitare lunghi contenziosi legali. "C'è urgenza di un intervento drastico. Nel 2020 il governo Conte II ha sbagliato", dice il ministro delle Imprese Adolfo Urso

Il governo è al lavoro per arrivare a un accordo per un divorzio consensuale con ArcelorMittal ed evitare così un lungo contenzioso legale sul dossier Ilva. Ieri sera c'è stato l'incontro con le sigle, occasione nella quale gli esponenti dell'esecutivo al tavolo delle trattative hanno comunicato come questa sia la soluzione più conveniente per evitare un lungo iter processuale. Attraverso una nota, il governo ha assicurato di lavorare "in modo serrato per definire il confronto con ArcelorMittal e procedere per individuare il percorso sul futuro dello stabilimento, avendo come obiettivo la continuità produttiva dell'azienda". Mercoledì prossimo si saprà se ci sono condizioni per lanciare quest'intesa. L'altra soluzione, più traumatica rispetto alla separazione consensuale, sarebbe il ricorso all’amministrazione straordinaria, possibile grazie a una norma del cosiddetto decreto Ilva del 2023 e che ne consente l'attivazione su richiesta del solo socio pubblico, cioè lo stato.

  

  

L'obiettivo per il governo è liquidare la questione nel minor tempo e in modo efficace. "Sull'ex Ilva c'è l'urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi dieci anni. Siamo in un momento decisivo che richiama tutti al senso di responsabilità", ha detto il ministro delle Imprese Adolfo Urso ieri al Senato. Visto che "nulla di quello che era stato programmato e concordato è stato realizzato" e "nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito agli impegni occupazionali e al rilancio industriale", occorre, per il ministro, "invertire la rotta cambiando equipaggio" per rendere l'azienda sempre più competitiva.

 

  

"Arcelor Mittal si è dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l'intero onere finanziario sullo stato ma, nel contempo, reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d'Italia di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione", ha aggiunto il ministro. Questa cosa, secondo lui, "non è accettabile né percorribile sia nella sostanza sia alla luce dei vincoli europei sugli aiuti statali", ha detto. "Abbiamo quindi dato mandato a Invitalia e al suo team di legali di esplorare ogni possibile conseguente soluzione", ha detto il ministro. 

   

 

Urso, nel ricordare i passaggi che hanno portato a questa situazione, ha poi attaccato il governo giallorosso: "Di fronte alla minaccia di abbandonare il sito e in assenza di alternative, nel marzo 2020 il governo Conte II, con ministro Patuanelli, avvia una nuova trattativa con gli investitori franco-indiani da cui nascerà Acciaierie d'Italia con l'ingresso di Invitalia al 38 per cento e con la sigla di patti parasociali fortemente sbilanciati a favore del soggetto privato" ha ricostruito il ministro. "Nessuno che abbia cura dell'interesse nazionale avrebbe mai sottoscritto quel tipo di accordo. Nessuno che abbia conoscenze delle dinamiche industriali avrebbe accettato mai quelle condizioni", ha attaccato.

 

    

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