Editoriali
Perché il futuro di Mps può essere simile a quello di Ita
La tentazione del governo Meloni di restare con un piede nella banca senese piuttosto che dismettere l’intera partecipazione è molto forte. Mps potenzialmente può fare da perno aggregatore di un nuovo polo del credito
Quando il ministro Giancarlo Giorgetti dice, come ha fatto ieri, di volere un’operazione industriale su Mps a buone condizioni perché “non siamo disperati” e che “è interesse dell’Italia avere più poli bancari”, fa intuire che la tentazione del governo Meloni di restare con un piede nella banca senese piuttosto che dismettere l’intera partecipazione è molto forte. E questo non perché il Monte sia poco appetibile, ma perché restare azionisti di una banca risanata e che potenzialmente può fare da perno aggregatore di un nuovo polo del credito è una possibilità che il Mef sta, evidentemente, considerando. Del resto, Giorgetti lo ha detto: il modello è Ita-Lufthansa, in cui il ministero dell’Economia italiano avrà un ruolo per molto tempo ancora prima che i tedeschi assumano il totale controllo della compagnia aerea. E gli accordi con l’Europa? Quelli, forse, possono attendere dopo che Palazzo Chigi ha comunque ridotto la partecipazione dal 64 al 27 per cento attuale.
Fino a oggi, dalla vendita di due tranche di capitale e dai dividendi, il Mef ha incassato più di 1,6 miliardi recuperando l’intero esborso dell’aumento di capitale dell’autunno 2022, che ha aperto la strada al rilancio della banca. Cosa impedisce allora al Mef di dismettere la restante partecipazione facendo di Mps una public company? Tanto più che l’interesse degli investitori di mercato non manca. Auspicare migliori condizioni può voler dire attendere che il prezzo di Borsa di Mps salga ancora un po’ in modo da massimizzare l’incasso oppure avere in mente un disegno di tipo strategico.
Nei giorni scorsi si è molto parlato della possibilità che un soggetto potenzialmente interessato alla creazione di un polo bancario con Mps potesse essere il gruppo Unipol. Ma non solo l’ipotesi è stata smentita dall’ad Carlo Cimbri quanto oggi appare palesemente campata in aria dopo la mossa a sorpresa di Unipol che ha investito la cassa a disposizione per rinforzare la sua posizione in Bper. Perché lo abbia fatto è un’altra storia ancora da scrivere, ma, intanto, sembra proprio una strada che non porta a Siena.
sindacati a palazzo chigi