Giorgia Meloni - foto via Getty Images

L'analisi

Col governo Meloni, il Pnrr in realtà è una lumaca

Giorgio Santilli

La premier e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto sbandierano risultati poco lusinghieri sullo "stato di avanzamento" del Piano: si spende poco e il confronto con il governo Draghi è impietoso. Qualche dato

Poco più di nove miliardi è la spesa effettuata dal Pnrr nel primo semestre del 2024, che ha portato il totale speso fino al 30 giugno scorso a 51,36 miliardi, pari al 26,5 per cento dell’intero piano. La Ragioneria e il Mef calcolano che, per rispettare la tabella di marcia prevista per arrivare puntuali alla contabilizzazione di tutti gli interventi a giugno 2026, quest’anno si dovrebbero spendere intorno ai 40 miliardi. Siamo molto lontani dall’obiettivo anche se il ministro per l’Europa e il Pnrr, Raffaele Fitto, ieri ha detto di vedere segnali “molto positivi” nell’attuazione del piano. Questi segnali coincidono con quello che lo stesso Fitto ha chiamato lo “stato di avanzamento del piano”, considerando che la spesa effettiva è solo l’ultimo passaggio di un processo che parte dall’assegnazione delle risorse, passa per bandi e aggiudicazioni arriva poi alla spesa.
 


Tre, nella sostanza, i dati presentati da Fitto e contenuti anche nella Relazione semestrale al Parlamento esaminata ieri nella cabina di regia Pnrr e pronta per essere inviata alle Camere. Il primo riguarda l’assegnazione delle risorse e l’attivazione degli interventi che ammontano a 164,8 miliardi sul totale di 194,4, quindi l’85 per cento, considerando – ha precisato Fitto – che il restante 15 per cento riguarda i nuovi interventi inseriti nel Piano dalla revisione approvata a dicembre. Il secondo e il terzo dato fanno invece riferimento a una quota del Piano, pari a 132,8 miliardi, relativa, in particolare, alle “misure che richiedono procedure di affidamento”, quindi gare e appalti (al netto degli incentivi automatici). Di questa parte più complessa del Piano 122 miliardi (pari al 92 per cento) sono stati attivati da un punto di vista finanziario e 111,6 miliardi (il 91 di quel 92 per cento) messi a gara.
 

Di questo stato di avanzamento, Fitto e la premier Meloni si sono assunti il merito, che però – a voler fare un’operazione verità sul Piano – dovrebbero quanto meno condividere con il governo di Mario Draghi, visto che fu proprio il governo di Draghi a ripartire molto rapidamente le risorse (l’80 per cento delle risorse assegnate già a metà 2022) e anche ad avviare le gare. Alla fine del 2022 – quindi nei primi diciotto mesi di vita del Pnrr – erano stati messi in gara, per i soli lavori, 47 miliardi di euro (dato Cresme) che sono oltre il 50 per cento dei 111,6 miliardi notificati ieri se si considera che nei 111,6 miliardi sono compresi anche servizi e forniture (circa il 25-30 per cento del totale). Quindi nei primi diciotto mesi draghiani del Pnrr sono stati messi in gara esattamente gli stessi importi dei secondi diciotto mesi meloniani (gennaio 2023-giugno 2024) nonostante le difficoltà devono essere certamente più grandi in fase di avvio che non nel pieno dell’attuazione.
 

Quando Meloni e Fitto si insediarono, agitarono la bandiera della “bassa spesa” e furono totalmente sordi agli osservatori che fecero notare che, prima di attivare la spesa, bisogna assegnare le risorse, fare i bandi di gara, aggiudicare e aprire i cantieri. Un lavoro che Draghi fece bene e velocemente, portando avanti quel lavoro “oscuro” di cui oggi Fitto rivendica i meriti.
 

Certo, quel lavoro è andato avanti e il governo Meloni ha fatto la propria parte, come abbiamo visto dai numeri. Ma l’azione principale di Meloni e Fitto è stata la revisione del piano,  durata oltre un anno in cui, come sta venendo fuori, furono stralciati proprio i lavori dei comuni che risultavano i più avanzati in termini di gare e aggiudicazioni. Ieri Fitto ha quantificato in 4 miliardi la spesa effettiva a dicembre di opere che sono state poi stralciate.
 

L’ultimo Bollettino economico di Bankitalia, a questo proposito, contiene nell’ultimo box (pagina 41) un grafico che ha il pregio di fare il punto, pressoché definitivo, sullo stato di attuazione dei progetti di lavori pubblici definanziati dal Pnrr, suddivisi per tipologia di stazione appaltante. I dati sono ripresi da Anac e dalle casse edili, ma le elaborazioni e il grafico sono particolarmente efficaci. La colonnina più interessante è quella dei comuni che hanno pagato il prezzo più alto, in termini di stralcio, della revisione. Il 68 per cento delle opere comunali è stato stralciato dal Pnrr ed era così composto: il 14 per cento di opere non aggiudicate, il 32 per cento di opere aggiudicate e il 22 per cento di opere in fase di esecuzione. Considerando anche le opere rimaste nel Pnrr, il 79 per cento delle opere comunali era stato già aggiudicato o era in fase di esecuzione e di queste oltre due terzi (54 per cento del totale) sono state stralciate dal Pnrr. Solo il 15 per cento delle opere comunali non era stato ancora aggiudicato contro il 63 delle opere delle amministrazioni centrali, il 37 delle regioni, il 22 delle province.
 

La mancanza di dati aggiornati può contribuire a fare scelte poco centrate. Oggi il governo incasserà tutti i dati aggiornati su Regis dalle singole amministrazioni e potrà procedere – come ha detto Fitto – a “eventuali correzioni” sulla base di un data base finalmente solido.

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