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Editoriali

Rumors, smentite e previsioni: ecco il gran ballo attorno a Fineco

Redazione

Tutte le ragioni per cui il mercato scommette sull’acquisizione dell’ex asset di Unicredit, nonostante sia il gruppo Zurich sia il fondo Kkr, sentito dal Foglio, smentiscano categoricamente di prendere in esame il dossier

Il gruppo Zurich ha smentito “categoricamente” qualsiasi interesse per Fineco e anche il fondo d’investimento Kkr fa sapere al Foglio di non stare in alcun modo prendendo in esame il dossier. Eppure, la Borsa crede che qualcosa prima o poi accadrà alla banca digitale italiana, una delle poche public company di Piazza Affari (il che vuol dire contendibile) con BlackRock come primo azionista (ha circa il 10 per cento del capitale). Dopo le indiscrezioni di stampa del fine settimana, che sostenevano che la compagnia svizzera stesse studiando un accordo con Fineco e che, qualora il deal fosse andato in porto, nella cordata sarebbero entrati anche i fondi Kkr e Advent, il “caso” si è solo in parte sgonfiato con le smentite dei potenziali aspiranti acquirenti. Il titolo sta continuando a correre da settimane (e anche ieri ha guadagnato il 2 per cento) su rumors che danno come possibile un’operazione di acquisto con i fondi di private equity come principali indiziati.
 

Ed è comprensibile, Fineco è la preda ideale per questo tipo di operatori in quanto banca multicanale indipendente con un’elevata marginalità (i profitti del primo trimestre sono pari a 147 milioni di euro su ricavi per 327 milioni, poco meno del 50 per cento) per il fatto di essere nata senza i costi fissi di una banca tradizionale. Molto del suo successo Fineco lo deve a un management che da quando Unicredit decise di venderla per fare cassa (erano i tempi di Jean Pierre Mustier a capo dell’istituto di credito) ha sempre creduto in un modello di business che in Italia non ha avuto precedenti fino a poco tempo fa. Di fronte alla girandola di indiscrezioni, alcuni analisti pensano che per Fineco sarebbe preferibile un acquirente di tipo industriale, preferibilmente di tipo assicurativo per integrare il business, e non puramente finanziario come i private equity perché questo darebbe maggiore stabilità all’azionariato. Oltretutto, un soggetto industriale andrebbe incontro a minori problemi di vigilanza e regolatori. Se non è Zurich, si prepara qualcun altro?

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