Giorgia Meloni - foto Ansa

Editoriali

Ecco perché la legge sulla Concorrenza è un fake

Redazione

Il disegno di legge smilzo (una trentina di articoli) annuale approvato dal Consiglio dei ministri non ha nulla a favore dell’apertura dei mercati, ma serve solo per far rispettare le scadenze del Pnrr

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge annuale per la Concorrenza. In tal modo, ha fatto un passo verso la settima rata del Pnrr, che richiede l’approvazione definitiva di tale provvedimento entro il 31 dicembre. Come l’anno scorso, si tratta di un ddl smilzo (una trentina di articoli), che interviene su temi eterogenei e – nella migliore delle ipotesi – fa un esercizio di pulizia dell’ordinamento.
 

La materia principale del ddl sono le concessioni autostradali. Qui, per la verità, il lavoro è piuttosto organico, sebbene vi siano luci e ombre. Da un lato, si stabilisce il principio per cui le concessioni, una volta scadute, devono essere riassegnate tramite gara pubblica. Ciò sembra contraddire la tendenza degli ultimi anni, di prorogarne surrettiziamente la scadenza, prevedendo ulteriori opere a carico del concessionario con un allungamento dei termini per prevenire rincari eccessivi della tariffa. Inoltre, il ddl dispone la revisione del perimetro delle concessioni, tenendo conto delle modeste economie di scala del settore: gli ambiti ottimali sono stati individuati dall’Autorità dei trasporti nel range 180-315 km di estensione lineare.
 

Ciò comporta in teoria lo spezzettamento della maxi concessione Aspi, che da sola vale circa la metà degli oltre 7 mila km di rete autostradale nazionale. Disegnare concessioni più piccole è necessario per rendere effettivamente contendibili le gare. Tuttavia, il ddl opera anche una sorta di controriforma, anch’essa non esplicitamente dichiarata ma risultante dalla scelta di riportare all’ente concedente, cioè al ministero dei trasporti, poteri (e gettito) sulla determinazione delle tariffe. La marginalizzazione dell’Autorità dei Trasporti, che viene trattata alla stregua di agenzia tecnica asservita al Mit, rischia di compromettere  la governance del settore, vanificando alcuni dei passi positivi compiuti negli ultimi anni. Inoltre, viene lasciata non una porta, ma un portone ad affidamenti diretti a società pubbliche.
 

Oltre a questo, il ddl interviene su una pluralità di temi: c’è una spruzzata di denari per le startup e le Pmi innovative, c’è un pizzico di paternalismo consumerista (la lotta alla “shrinkflation”, cioè la pratica di diminuire la quantità di un prodotto venduto a parità di prezzo), c’è qualche misura di buon senso (la portabilità delle scatole nere e la banca dati contro le frodi assicurative), c’è un tentativo di razionalizzare le concessioni per l’occupazione di spazio pubblico per i dehor di bar e ristoranti, c’è l’ennesima strizzata d’occhio ai tassisti tramite l’inasprimento delle sanzioni per gli abusivi. Anche solo enumerare i temi trattati suona stucchevole: la realtà è che ciascuna di queste cose può piacere o no, ma ha poco o nulla a che fare con la concorrenza e soprattutto avrà poco o nessun effetto sul dinamismo economico del paese.
 

Il che ci riporta al punto di partenza, cioè alla legge e alla ragione per cui viene adottata. Essa dovrebbe perseguire il fine di “rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all'apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori”, come recita la norma del 2009 che istituisce l’obbligo di una legge annuale. Il ddl approvato oggi non fa nulla di tutto ciò, se non in modo assai superficiale ed episodico. E lo fa per un’unica ragione: rispettare le scadenze del Pnrr.
 

È questo il vero argomento su cui riflettere: l’impegno a presentare ogni anno un disegno di legge per la concorrenza si è rapidamente trasformato in quello di presentare un ddl che richiama la concorrenza nel titolo, al di là e a prescindere dai suoi contenuti. In teoria, il Pnrr avrebbe dovuto stimolare riforme e investimenti tali da alzare permanentemente il tasso di crescita potenziale del pil. In pratica, almeno per quanto riguarda la Concorrenza, ciò non sta avvenendo. L’unica cosa che sembra aver stimolato è l’italica inventiva nell’aggirare con soluzioni formalmente ineccepibili gli impegni sostanziali presi in sede europea. Quando si farà un bilancio del programma Next Generation Eu, il fatto che le riforme pro concorrenziali siano state ispirate più alla furbizia che al coraggio condizionerà pesantemente la valutazione.