Editoriali
Oltre le apparenze: perché il portafoglio del vicepresidente Fitto guarda al passato
La nomina di Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione è un successo per Meloni ed è ciò che fa notizia. Ma riavvolgendo il nastro, ci chiediamo: chiedere altri portafogli più pesanti, anche a costo di uscire sconfitti, non sarebbe stato più lungimirante per gli interessi dell'Italia?
A forza di dibattere sulla vittoria o no di Giorgia Meloni nella partita sul commissario europeo, si è perso di vista quello che dovrebbe essere l’elemento centrale del dibattito: l’Italia aveva davvero interesse a chiedere (e ottenere) il portafoglio della Politica di coesione? La presidente del Consiglio lo ha chiesto pubblicamente durante l’estate a Ursula von der Leyen. Ha indicato come candidato un uomo che se ne intende della materia, Raffaele Fitto. Ha ottenuto per lui uno dei sei posti di vicepresidente esecutivo. Sul Pnrr l’ha avuta vinta a metà, dato che Fitto dovrà condividerlo con il “falco” Valdis Dombrovskis. Come vicepresidente Fitto avrà la supervisione (ma non il controllo diretto) anche su temi come l’agricoltura e la pesca. Dalla Politica di coesione sono circa 40 miliardi assegnati all’Italia nel periodo 2020-27. Nel bilancio 2028-35 l’ammontare delle risorse probabilmente diminuirà e bisogna preservare il gruzzoletto che l’Ue garantisce all’Italia.
A prima vista tutto bene. Se invece si guarda alle priorità della nuova Commissione (competitività, green tech e digitale), gli interessi attuali dell’economia italiana e al futuro del paese, la scelta di puntare sulla politica di coesione sa di sguardo rivolto al passato: alla preservazione di interessi acquisiti assistenzialisti, che l’Italia ha dimostrato di non essere in grado di sfruttare appieno. Alle imprese italiane che esportano conviene di più un commissario che salva un po’ di soldi per il sud o un commissario che fa funzionare il mercato unico o che firma accordi commerciali vantaggiosi? Per l’Italia che aspira a essere hub del gas e dell’idrogeno non sarebbe stata più strategica l’energia? Green tech, politica industriale e digitale – le competenze assegnate agli altri vicepresidenti – non sarebbero stati più adeguati per il futuro del paese? Il successo politico, per Meloni c’è, e la vicepresidenza esecutiva è ciò che fa più notizia. Ma riavvolgendo il nastro una domanda è legittima: chiedere altri portafogli sin dall’inizio, anche a costo di uscire sconfitti, non sarebbe stato più lungimirante per gli interessi dell’Italia?