Editoriali
Non aver paura dell'innovazione. Microsoft investe in Italia
L'azienda americana mette una fiche da 4,3 miliardi sul tavolo italiano. È l’inizio di una svolta possibile per il paese
Con 4,3 miliardi di investimenti in Italia in due anni, l’intelligenza artificiale esce dai convegni, tracima dai libri (a proposito, la spinta alla didattica vecchio stile è stata straordinaria), dilaga dai dibattiti ed entra nella vita reale. Il grande impegno finanziario, formativo e organizzativo, annunciato ieri, è tutto in capo a Microsoft, che mette così una fiche gigantesca sul tavolo italiano (più o meno la stessa cifra che ai tempi del governo Draghi aveva promesso di stanziare Intel per costruire un impianto di chip in Italia, investimento poi sfumato anche grazie all’immobilismo iniziale del governo Meloni) e sfida i competitori a essere all’altezza. Il piano prevede molto cloud, da servire con certi di conservazione dei dati di nuova realizzazione e di enorme capacità. E verrà affiancato da un programma di formazione con cui si punta a raggiungere più di un milione di persone con l’obiettivo, dice una nota dell’azienda, di far crescere le loro competenze digitali.
C’è anche questo intento, certamente, ma la partita è più ampia. Si tratta di prendere la posizione di comando nel mercato più promettente del momento e non contano i primi scricchiolii che si sono già avvertiti nella bolla dell’IA. Cloud e data center sono investimenti solidissimi e la scala dell’impegno finanziario si traduce facilmente in forza commerciale. L’IA, la cui completa applicazione non è ancora ben misurabile né pienamente prevedibile, sarebbe il fattore aggiuntivo del grande progetto di investimento di Microsoft. L’annuncio arriva mentre altri big preparano investimenti infrastrutturali nella gestione e trasmissione di dati. Le aziende italiane e tutto il sistema Italia si trovano a fare da spettatori nella fase di lancio e di infrastrutturazione. L’impegno massimo previsto finora non ha retto il confronto neanche con uno dei progetti multinazionali in arrivo. Si tratta di prenderne atto e prepararsi, alla ricerca di tutto gli spazi di business che arrivano in seconda battuta rispetto alla creazione dell’infrastruttura di base. Non servirebbe certo la chiusura sovranista, che per la verità non dà segni di sé nella parte rilevante del dibattito pubblico, ma servirebbe invece iniziativa politica e imprenditoriale per trasformare queste grandi operazioni in business per tutti.
L’Italia, come scrive da mesi questo giornale, ha grandi e clamorosi deficit quando si parla di innovazione e fino a oggi il governo Meloni si è distinto per un disinteresse nel settore. I dati li conoscete. Gli investimenti in venture capital sono crollati del 49,6 per cento rispetto all’anno precedente, nel 2023, e sempre nello stesso anno i grandi grandi investitori istituzionali hanno investito appena lo 0,07 per cento dei loro capitali in venture capital contro lo 0,3 per cento registrato in Europa e il 3-4 per cento registrato negli Stati Uniti. L’Italia è ancora in deficit quando si parla di innovazione, e anche il governo Meloni non ha mosso un dito finora su questo terreno, qualcosa però evidentemente inizia a cambiare. E ieri – insieme con l’annuncio importante fatto da Microsoft, annuncio che arriva dopo i colloqui americani avuti da Meloni con Elon Musk e con l’ad di Google, di Motorola e OpenAI e dopo il colloquio a Palazzo Chigi avuto con il capo di Blackroc Larry Fink – Cdp Venture Capital ha annunciato di aver siglato con OpenAi “un protocollo di intesa finalizzato a rafforzare il posizionamento dell’Italia nello sviluppo e nell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, promuovendo così l’innovazione dell’ecosistema nazionale”.
Tutto giusto. Ma lo stato italiano dovrebbe chiedersi se, come si ricordava qui due giorni fa, è sufficiente o no che il più importante investimento pubblico legato all’intelligenza artificiale, quello di Cdp Venture Capital, sia pari a un miliardo di euro? Con Microsoft, qualcosa inizia a muoversi. E forse l’intelligenza artificiale e i data center possono essere per l’Italia di Meloni il terreno giusto su cui misurare, un domani, la capacità di attrarre capitali e capitalisti dall’estero, oltre che la capacità della destra nazionalista di superare il suo complesso luddista. Qualcosa si muove. Ed è una buona notizia.