(foto Ansa)

editoriali

Il sindacato sciopera contro se stesso

Redazione

La crisi dell’Automotive è reale. L’ideologia che l’ha accelerata pure. I conti con la realtà

La protesta del settore Automotive in varie città italiane, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil nella piazza romana, e i delegati delle fabbriche più esposte al rischio di forte riduzione dell’attività e anche di licenziamenti, è certamente una scelta utile e positiva. I lavoratori dell’auto sono in grande difficoltà, sentono di partecipare a un modello produttivo contestato e messo perfino sotto accusa e sul quale nessuno più scommetterebbe, mentre da Stellantis, principale gruppo per presenza in Italia, arrivano segnali confusi e le poche indicazioni che in qualche fase della trattativa erano sembrate affidabili poi sono state smontate o riproposte dopo averne cambiato il senso e la portata.

Nelle fabbriche del centro-sud, specialmente lungo la linea che collega Termoli a Pratola Serra e a Piedimonte San Germano e, ancora verso sud, fino a Pomigliano e poi a Melfi, la fiducia nel futuro del lavoro in azienda sta crollando, lasciando fortissime preoccupazioni, in territori spesso privi di alternative industriali. Questo è un dato di fatto ormai, ma al sindacato e ancora di più alla politica spetta un compito un po’ più complesso della semplice constatazione. E nel compito c’è anche la necessaria dose di autocritica, per capire come la crisi di Stellantis in Italia sia figlia di un concorso di colpe e non sia un prodotto autonomo della cattiva disposizione dell’amministratore delegato Carlos Tavares. Negli stessi anni in cui l’Italia perdeva quote di produzione automobilistica la Spagna le incrementava, grazie all’apertura verso gli investimenti esteri, segnatamente quelli tedeschi, con un forte aumento di attività della Volkswagen da cui è derivata anche la nascita di un nuovo marchio del gruppo, quella Cupra in grado ora di raccogliere successi in un mercato difficilissimo. L’Italia si è trovata, invece, in una fase di grande difficoltà decisionale proprio quando il mondo dell’Automotive richiedeva lucidità e capacità di rispondere alle novità. Con la politica invischiata negli anni del grillismo e dell’ostilità all’industria e con la Fiom e la Uilm intenzionate a recuperare dopo le sconfitte subite da Sergio Marchionne e dal suo modello produttivo, in una stagione culminata nell’accordo per Pomigliano, raggiunto attraverso il dialogo e il coraggio della Fim Cisl. Allora ci fu una divisione sindacale, in nome di un forte obiettivo di rilancio della fabbrica campana e dell’intero piano di Marchionne, che comprendeva, certo, la sua diffidenza verso la transizione obbligata all’elettrico.

 

Quei pilastri organizzativi e programmatici per il settore sono saltati perché i governi europei, e quello italiano non è stato in grado né desideroso di avere influenza, hanno spinto la Commissione a decisioni con conseguenze drammatiche per la produzione di automobili, mentre la maggioranza dei sindacati italiani si accontentava dell’occasione per regolare i conti con Marchionne. E si potrebbe ritornare ancora più indietro, cercando tutte le occasioni in cui il rifiuto della concorrenza ha cementato gli interessi di alcuni grandi gruppi con quelli (apparenti) dei lavoratori. Una convergenza anti-mercato che avrebbe dovuto insospettire perché innaturale e che invece sembrava perfettamente inserita nella logica della difesa di mal interpretati interessi nazionali. Oppure si potrebbe andare a cercare gli errori nella gestione della Cig, da cui è derivato un eccesso di tolleranza e di accettabilità sociale per gli errori manageriali e per strategie dal fiato cortissimo. Tutte cose vere, ma un po’ vecchiotte, anche se le loro conseguenze continuano a sentirsi. Mentre il sistema produttivo italiano dell’Automotive può ancora provare a reagire.

Ma con Stellantis bisogna recuperare capacità di dialogo (non necessariamente amichevole, anzi) e dare prova di saper sostenere le proposte orientate al recupero produttivo con l’energia dei sindacati (sperando che si esca davvero dalle divisioni seguite al referendum di Pomigliano) e con un supporto politico esteso, o abbastanza esteso perché non siano allettanti le rendite di posizione di chi giocò sul futuro dei lavoratori entrando cinicamente nelle scelte sull’assetto industriale italiano.

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