editoriali
La grande inquisizione contro Elkann
L’invito in Parlamento del presidente e primo azionista di Stelllantis serve per i talk show non per la politica industriale
John Elkann, presidente e primo azionista di Stelllantis, convocato in Parlamento per essere sottoposto a un processo politico, è qualcosa che riguarda più la politica da talk show che la politica industriale. Mussolini non amava Giovanni Agnelli, e viceversa. Considerava la Fiat “uno stato nello stato”, e quando poteva se poteva cercava di addomesticarla. Ma un processo pubblico, sia pure nelle “aule sorde e grigie”, sarebbe stato forse eccessivo anche allora. Oggi da destra e da sinistra si chiede invece che Elkann si sottoponga a un tiro incrociato il cui esito non è altro che mostrare quanto sia arrogante e nello stesso tempo impotente la politica di fronte a una crisi dell’auto che ha cause e avrà sviluppi di portata strutturale, anzi persino epocale.
Che cosa potrebbe dire Elkann di diverso da quel che è stato detto? Ha forse una formula magica da mostrare? Deve recitare l’abiura, battersi il petto e pentirsi di aver dato troppo spago a Carlos Tavares, davanti al Grande Inquisitore? Gli si potrebbe chiedere un impegno solenne a salvare i posti di lavoro in Italia. E in Francia, in Germania, negli Stati Uniti? Aprire un negoziato è un’altra cosa. Giorgia Meloni ha detto che “la trattativa con il governo è neutrale, vogliamo fare del nostro meglio per difendere l’occupazione e l’indotto”. Ne ha facoltà, se ci riesce riceverà un plauso generale. Ma di trattativa si tratta, non di autodafé. Insomma il buon senso, le regole del gioco liberal-democratico che richiedono rispetto per le diverse sfere e i diversi poteri nella loro autonomia, tutto ciò suggerisce che non è cosa.
E se invece Elkann accettasse la sfida? Se, non per piegarsi né per dare una lezione, ma per la massima trasparenza si presentasse a spiegare, a presentare le sue analisi e le sue proposte? Allora sarebbe un vero coup de théâtre. Quante volte e da quante bocche sentiremmo “questo lo dice lei”, la frasetta indirizzata da Laura Castelli a Pier Carlo Padoan nel 2018, rimasta una pietra miliare dell’insipienza e della protervia politica.