il dialogo tra italia e usa
L'uovo di Elon e la gallina spaziale europea. Ragioni per non aver paura di Starlink
Fanno bene Meloni e Crosetto a portarsi avanti sull’attivazione di una prima, indispensabile, infrastruttura di comunicazioni satellitari per usi pubblici e privati avanzati. Una mossa di natura strategica, che rende necessaria la massima trasparenza
Meglio l’uovo di Starlink (o Kuiper) oggi, ma anche la gallina di Iris2 domani. E ieri? L’Italia dei tardivi benpensanti ha serenamente ignorato l’esistenza della Space Economy fino alla Befana, salvo stracciarsi ora le vesti davanti al rischio che i preziosi dati della protezione civile e della difesa passino attraverso i 10 mila satelliti lanciati da Elon il Pazzo, invece di aspettare pazientemente il 2030, quando forse l’Europa comincerà a mettere in orbita i 300 previsti dal progetto Iris2, di cui l’Italia fa parte. Giammai affidare le tecnologie critiche a un privato, incontrollabile e perfino trumpiano, sbraita oggi con indignazione la politica nostrana, riscopertasi ormai più post-sovranista degli ex sovranisti dichiarati: il fatto che questo improvviso rigurgito nazionalista si esprima attraverso le piattaforme social di aziende private americane, che funzionano su architetture cloud di aziende private americane, dove quegli stessi dati critici inevitabilmente finiscono, è ormai passato in intendenza.
Oggi il nuovo bersaglio polemico è ben sopra le nuvole, a livello LEO, ovvero circa 350 km di altitudine, dove è collocata la rete di satelliti di Starlink, azienda dell’ormai odiatissimo Musk. Palazzo Chigi ha opportunamente smentito di aver firmato alcun contratto, ma ha confermato che sono in corso normali interlocuzioni con l’azienda americana in merito a “connessioni protette per le esigenze di comunicazione di dati crittografati”. Proviamo a fare chiarezza, in tre passaggi: la Space Economy è una questione maledettamente seria, e non può essere relegata alla bassa cucina della polemica politica.
Primo: in questo turbolento contesto geopolitico, ci sono dubbi sulla necessità e l’urgenza di un sistema di comunicazioni affidabili, sicure e resilienti in situazioni di emergenza, sia per difesa nazionale che per protezione civile? No, ed è lo stesso obiettivo strategico del progetto europeo Iris2 a chiarirlo: peccato che lo faccia con un ritardo inaccettabile, visto che l’accordo di avvio è stato firmato solo poche settimane fa a Bruxelles. Bene fanno quindi Meloni e Crosetto a portarsi avanti, e in fretta, sulle infrastrutture di comunicazione critiche per la sicurezza nazionale: disporre al più presto di una rete satellitare a bassa latenza e ad alta capacità, affidabile e protetta, per usi non solo militari ma anche civili, favorirà finalmente lo sviluppo di un intero ecosistema tecnologico e applicativo anche in Italia, a cominciare dalla filiera dei droni autonomi per la sorveglianza del territorio e la prevenzione dei rischi idrogeologici, come già sta sperimentando la Svizzera. Secondo: proprio per la sua natura strategica, va garantita la massima trasparenza nella scelta pubblica della soluzione tecnologica.
Oggi Starlink costituisce il sistema satellitare più consolidato, in grado di offrire una copertura pressoché globale, con latenza inferiore ai 40 ms e velocità trasmissiva fino a 200 Mbps, oltre a elevate caratteristiche di protezione dei dati. Ma non mancano le alternative, peraltro anch’esse tutte private: per il proprio network Kuiper, Amazon ha sottoscritto con l’autorità statunitense Ffc l’impegno a lanciare in orbita bassa almeno 1600 satelliti entro giugno 2026, con velocità fino a 400 Mbps; OneWeb, della francese Eutelsat, dispone già di 650 satelliti a orbita più elevata, quindi con maggiore latenza e minore velocità trasmissiva, non del tutto adeguata alle esigenze di sicurezza. Ma quella tra pubblico e privato è una falsa alternativa, specie se posta da quelle parti politiche che hanno sempre osteggiato l’innovazione tecnologica a difesa di opache rendite nazionali: la scelta, oggi, è tra restare ancora colpevolmente fermi, oppure sbloccare finalmente il mercato, rispettando i principi di trasparenza, concorrenzialità e neutralità tecnologica e richiedendo le necessarie garanzie di governance, senza sudditanza tecnologica né verso Musk né verso Bezos.
Terzo: e allora l’Europa? L’avvio, per quanto molto tardivo, del progetto Iris2 della Commissione Europea, al quale contribuiscono Germania, Francia, Italia e altri paesi europei, insieme all’agenzia spaziale europea Esa, al consorzio SpaceRISE e a diverse società private europee, tra le quali anche Telespazio, è la prova l’esigenza di disporre di un costellazione satellitare per comunicazioni sicure e resilienti, da integrare con i sistemi di navigazione Galileo e la rete di osservazione Copernicus, sia una priorità strategica per l’Unione Europea, e quindi anche per l’Italia.
E’ troppo tardi sbandierare le bolse ragioni della sovranità nazionale sulle tecnologie critiche da parte di una politica in larga parte neoluddista e conservatrice: in un’Europa che – come ha puntualmente denunciato il rapporto Draghi - è rimasta drammaticamente indietro su tutta la filiera della Space Economy, dai lanciatori, ai device e al software di governo, controllo e sicurezza, c’è da sperare che bastino i 10,6 miliardi (di cui oltre 4 privati) allocati al progetto Iris2 e che davvero l’industria europea rientri nel grande gioco spaziale, almeno entro il 2030. Nel frattempo, ben venga un passo immediato del governo italiano verso l’attivazione di una prima, indispensabile infrastruttura di comunicazioni satellitari per usi pubblici e privati avanzati. Se poi sarà quella offerta da Elon il Pazzo o Jeff il Più Politicamente Corretto, vorrà dire che i benpensanti con rigurgiti sovrani se ne faranno, almeno per ora, una sacrosanta ragione.
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