Christine Legarde (Ansa)

editoriali

La Bce tra inflazione e le future mosse di Donald Trump

Redazione

Lagarde fa capire che taglierà i tassi, ma bisognerà valutare l’America first. Non rinuncia a evitare di dare una guida di lungo periodo preferendo mantenere l'apporto basato sui dati e l'ottimismo trasmesso trova il suo contrappeso in una comunicazione non scontata sulla discesa dei tassi 

La crescita fiacca dell’Eurozona giustifica nuovi tagli della Bce? E’ quello che pensa la maggior parte degli analisti in previsione della riunione di giovedì 30 della Banca centrale europea. Le stime, infatti, confluiscono verso una nuova riduzione del costo del denaro dello 0,25 per cento, portando il tasso ufficiale al 2,75 per cento dall’attuale 3 per cento. Il ragionamento è che per quanto l’inflazione non sia stata proprio completamente domata, esistono rischi di decrescita, anche a causa delle politiche dell’Amministrazione Trump che potrebbero colpire le esportazioni europee, che la Bce tenderà a prendere di petto. E questo in concreto vuol dire non fermare o rallentare la discesa dei tassi. 

Del resto, la presidente Christine Lagarde a Davos ha fatto implicitamente capire che sarebbe andata avanti con l’espansione monetaria quando ha esortato l’Europa a non farsi spaventare dall’approccio aggressivo americano e a reagire con unità. Anzi, ha addirittura detto che bisogna puntare ad attrarre talenti e investimenti dagli Stati Uniti. Vero che in quella sede si stava riferendo a temi di competitività e non di tipo monetario, ma in controluce gli operatori di mercato hanno avvistato il taglio di domani, che non sarà neanche l’ultimo dell’anno poiché se ne prevedono altri tre entro l’estate o subito dopo fino ad arrivare all’obiettivo del 2 per cento.

La Bce di Lagarde è ormai molto più colomba che falco, ma a una cosa non rinuncia e cioè a evitare di dare una guidance di lungo periodo preferendo mantenere l’approccio basato sui dati e riunione per riunione. Del resto, nessuno è ancora in grado di valutare le possibili conseguenze che la politica “America First” avrà sui movimenti valutari e l’impatto sull’inflazione sull’inflazione globale. Così, l’ottimismo trasmesso a Davos da Lagarde, che ad alcuni è sembrato anche andare oltre il ruolo ricoperto perché riferito a una visione europea di tipo più generale, trova in una comunicazione non scontata sulla discesa dei tassi il suo contrappeso.

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