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Editoriali
La scommessa sul dollaro è persa
Le borse sono appesantite dai titoli che tradizionalmente avevano le performance migliori, mentre Trump e i suoi aggrediscono il presidente della Fed, cercando un modo per costringerlo alle dimissioni. Tutto quello che non torna nella strategia della Casa Bianca sulla svalutazione
Forse Donald Trump sta vincendo la sua battaglia per ridurre le importazioni di beni negli Stati Uniti, visto che i dati cominciano a far vedere un rallentamento dell’import, ma a quale prezzo? Ieri il Wall Street Journal ha fatto le somme: il dollaro ha perso più dell’1 per cento rispetto a un paniere di altre valute, il Nasdaq il 2,2 per cento, l’indice S&P500 l’1,7 per cento. La borsa è appesantita dai titoli che tradizionalmente avevano le performance migliori – le cosiddette Big Tech – guidate da Tesla che è sotto del 6,5 per cento. Crescono solo i beni rifugio, come l’oro, che ha superato i 3.400 dollari l’oncia, mentre i titoli del debito pubblico Usa hanno raggiunto il 4,38 per cento, il valore più alto degli ultimi dieci anni. Dietro questa fuga dal rischio c’è soprattutto l’enorme incertezza portata dalla Casa Bianca sui mercati. Da un lato, il balletto dei dazi lascia intendere che Washington perseguirà con determinazione la sua strategia di autosufficienza manifatturiera, in maniera però erratica e imprevedibile, aggiungendo confusione a una politica che non potrà che indebolire l’economia americana. Ma negli ultimi giorni è stata soprattutto l’aggressione di Trump al presidente della Fed, Jerome Powell, accusato in un crescendo polemico di opporsi al taglio dei tassi.
La banca centrale americana ha un doppio mandato: contrastare l’inflazione e mantenere elevati i livelli occupazionali. Una politica monetaria lassista, in un contesto di incertezza e crescenti tensioni commerciali, non potrebbe che far perdere il controllo sull’inflazione. Ma Trump e i suoi non si accontentano di prendersela con Powell, lasciano intendere che stanno cercando un modo per costringerlo alle dimissioni. Questo rende la situazione ancora più incandescente, perché – oltre al merito delle politiche – aggiunge alle preoccupazioni degli investitori anche quella sulla tenuta della Fed e degli equilibri istituzionali americani. Secondo alcuni analisti, questo potrebbe favorire le economie asiatiche e l’Europa, percepite come destinazioni più sicure. Da tempo l’Europa spera di poter superare gli Usa: nessuno avrebbe mai immaginato che la cosa potesse accadere perché l’America cola a picco. Non è una bella prospettiva.