(foto LaPresse)

Cassa depositi in Telecom? No, grazie

Redazione

Non vale la pena tornare agli anni 80, solo per fermare i capitali francesi

Torna lo stato imprenditore? Secondo la Stampa di ieri, nel governo starebbe prendendo forma un nuovo piano per fermare le ambizioni di Vincent Bolloré su Mediaset: l’ingresso di Cassa depositi e prestiti nel capitale di Telecom Italia con una quota di controllo per disinnescare la presunta volontà del finanziere francese di vendere a un’altra compagnia transalpina di tlc, Orange. Della vicenda Mediaset il Foglio ha già dato ampio conto: è una questione estremamente complessa che incrocia molti piani, tra cui quelli giuridico, borsistico e antitrust. Ma tirare in mezzo Telecom è pretestuoso. Nel passato si lamentava l’indebolimento dell’azienda e la sua incapacità di investire nella rete: oggi però, grazie alla cura dell’ad Flavio Cattaneo, Telecom è tornata a produrre reddito e a investire a livelli record.

 

 

Lo stesso Piano per la banda ultralarga – un’operazione ben condotta dal governo Renzi – dimostra che lo stato ha tutti gli strumenti per giocare la partita infrastrutturale, senza bisogno di suoi rappresentanti nel cda di Telecom. A guardare in controluce il retroscena (se confermato), restano dunque solo due cose: un abbaglio ideologico per il controllo pubblico, e un nazionalismo economico a singhiozzo, per cui il “buon” fondo sovrano qatarino va corteggiato perché salvi Mps (anche attraverso contropartite oblique, si veda il deal Eni-Rosneft-Qatar sul giacimento egiziano), ma il “cattivo” capitalista francese non deve alzare la cresta anche se guida una delle maggiori media company al mondo. Speriamo che il piano venga smentito: altrimenti “cosa resterà degli anni Ottanta” non sarà più una canzone, ma una domanda la cui risposta è: “Tutto”.