Nuovi reati no grazie
L’omicidio stradale è l’esempio di quanto il populismo penale sia fallace
Millequattrocentosessantasei morti sulle strade italiane nel primo semestre del 2016, solo il 4,7 per cento in meno delle vittime nello stesso periodo dell’anno precedente. Secondo le stime preliminari pubblicate da Aci e Istat, il reato di “omicidio stradale” introdotto dalla legge 41 nel marzo di quest’anno ha cambiato poco, se non nulla, nella nostra sicurezza stradale. I morti ci sono ancora, mentre sono in aumento le omissioni di soccorso. Perché quando la legge fu scritta e approvata, l’introduzione di un nuovo reato – l’omicidio stradale, appunto – sembrava la panacea, la soluzione, la strategia della deterrenza applicata ai pirati della strada. Poi, però, si è capito che chiunque alla guida di un mezzo poteva diventare un potenziale omicida (bastano 40 giorni di prognosi per essere accusati di “lesioni gravi”, possibile carcere, e patente sospesa per 5 anni, pene spropositate per chi provochi un incidente da sobrio).
Quando nel marzo di quest’anno Matteo Renzi firmò la legge, lo fece davanti ai rappresentanti dell’associazione vittime della strada. La legge “aveva soprattutto uno scopo”, scriveva ieri Alessandro Cecioni su Repubblica, “colpire chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto della droga causando con comportamenti criminali la morte di innocenti. ‘Devono andare in carcere, non devono guidare mai più’. Questo il messaggio, la richiesta. E sull’onda di questa emotività è nato il testo”. Oggi, dati alla mano, la legge sembra un caso di scuola: quando il populismo penale influenza l’attività legislativa si creano mostri giuridici. E in un sistema giudiziario come il nostro, ci mancava l’omicidio stradale.