Foto LaPresse/Andrea Ciucci

L'ex pm Gherardo Colombo assalito dalla realtà

Redazione

L’intervista a Rep. sulle intercettazioni è un buon segnale

Nel giorno in cui Sky presenta la sua versione del 1993, l’anno delle monetine a Craxi e del patatrac della Prima Repubblica, e vedremo con curiosità che memoria d’Italia uscirà, dalla narrazione, c’è un altro segnale importante da registrare. Un segnale non piccolo, per quanto assai isolato, nell’Italia del 2017. Ma a onor del vero non imprevisto, per chi abbia un po’ d’attenzione all’evoluzione delle persone e delle idee. Il segnale è l’intervista che Gherardo Colombo, ex pm del pool di Mani pulite, protagonista di quel 1993, ha rilasciato a Repubblica. A una Liana Milella un tantino basita, a dirla tutta. Colombo ha abbandonato la toga da anni, è uomo di cultura, scrittore, editore, attento e impegnato sui temi della giustizia. Ha fatto un percorso, per così dire, ideologicamente lontanuccio da quello di Piercamillo Davigo. Si parla di intercettazioni, “la querelle sugli ascolti”, come la chiama Milella. Lui risponde che sono un “mezzo difficile da usare con parsimonia”, e che la delega del governo in materia “va nella direzione giusta”. Più precisamente: “Si tratta di uno strumento molto delicato, da usare con parsimonia per una serie di ragioni. Sia sotto il profilo della tutela della riservatezza delle persone, tutte le volte in cui una registrazione telefonica o ambientale non serve assolutamente a fini penali e investigativi, per cui è del tutto gratuito esporre le persone pubblicando notizie che riguardano la vita privata. Sia per gli aspetti probatori, perché si tratta di uno strumento equivocabile”. Ma come, ribatte Milella, “una registrazione è quello che è”. E l’ex pm, l’uomo di legge: “Normalmente le intercettazioni si leggono e non si sentono. Quindi sfuggono il tono della voce, le intonazioni ironiche o sarcastiche, magari una risata non viene percepita”. Poi si parla anche d’altro. Ai tempi di Mani pulite, le intercettazioni pesarono poco. Ma il problema di una giustizia equa, che fa bene il suo lavoro, è da tempo meritoriamente nella riflessione di magistrati che di fronte a certe derive sono stati “assaliti dalla realtà”. Come Colombo. Non sono tanti, ma è un bel segnale, che ci siano.

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