La sindaca grillina di Torino, Chiara Appendino, è stata condannata a un anno e sei mesi nel processo con rito abbreviato per i fatti di piazza San Carlo. Il processo si riferisce a quanto accaduto nel capoluogo piemontese la sera del 3 giugno 2017, quando un’ondata di panico collettivo tra la folla che stava assistendo alla proiezione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid causò il ferimento di 1.600 persone e la morte di due donne (a scatenare il caos fu una banda di rapinatori armati di spray al peperoncino). Insieme ad Appendino sono stati condannati, sempre a diciotto mesi, anche gli altri quattro imputati. Le accuse erano di omicidio, lesioni e disastro colposi. La sensazione diffusa, in attesa che il deposito delle motivazioni della sentenza chiarisca le ragioni alla base delle condanne, è che si sia di fronte all’ennesimo trionfo della logica forcaiola della “responsabilità oggettiva”, quella che porta a rintracciare la responsabilità di eventi tragici o di incidenti nei vertici di istituzioni e di organizzazioni, sulla base della loro mera carica direttiva.
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