(Lapresse)

Editoriali

Dopo la sberla a Mediaset

Redazione

Perché la brutta figura sul caso Vivendi impone un cambio di strategia
 

Finisce una fase della partita tra Mediaset e Vivendi o forse finisce proprio la partita per come l’abbiamo conosciuta in questi anni. Sì c’è l’Appello ma non sembra il caso di farci conto. Mediaset è già corsa ai ripari per tamponare il suo valore di Borsa dopo quella che obiettivamente è stata una figuraccia, perché dire alla comunità finanziaria internazionale che da quella lite giudiziaria si attendevano ragionevolmente tra 600 e 700 milioni e poi incassare la somma beffarda di 1 milione e 700 mila euro è un passaggio dopo il quale urge un recupero di reputazione.

 

Questa lunga e astiosa battaglia legale è servita però, almeno, a prendere tempo. Di cui avevano bisogno entrambi per poter cominciare l’altra partita di cui si diceva. Nel frattempo molte cose sono cambiate. Da due giorni sappiamo che l’offerta del calcio in tv è prossima a una rivoluzione. Mentre da mesi è in corso, ma senza grandi sviluppi, una trattativa sugli investimenti nella rete e nella banda larga. Serve una scossa anche per quel grande investimento infrastrutturale e serve la capacità di riempire la rete di contenuti in grado di rendere tutta l’operazione profittevole.

 

Allora, finito il match giudiziario, da parte di Mediaset va subito cercata una nuova intesa con Vivendi, anche riscoprendo il progetto iniziale, quello da cui, per inapplicazione o altre inadempienze, è nato  il contenzioso. Certo, Vincent Bolloré  ha una forza finanziaria in scala 10 a 1 rispetto a quella di Mediaset e Fininvest, ma bisogna ragionarci. Perché il mercato televisivo di ciascun singolo paese, con tutti i cambiamenti degli ultimi anni, non è un luogo in cui muoversi con arroganza o con il solo peso della forza economica. Questa specifica competenza è nelle mani di Mediaset e l’azienda può  valorizzarla. Dalla dirigenza di Mediaset i segnali di dialogo verso Vivendi erano già partiti prima della sberla giudiziaria. Vanno ripresi rapidamente, contando  sulla capacità di scelte pragmatiche mostrata dal governo di Mario Draghi quando ci sono di mezzo il valore e la funzione delle aziende italiane.

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