Editoriali
Taiwan e la profezia che si autoavvera
Suonare i tamburi della guerra è esattamente quello che la Cina vuole
La copertina dell’Economist di questa settimana ha fatto parecchio discutere. Sull’illustrazione c’è l’isola di Taiwan al centro di un radar e il titolo è: “Il posto più pericoloso del mondo”. Su Twitter parecchi utenti hanno messo la copertina vicino alle allegre immagini di Taiwan che ha sconfitto con successo l’epidemia: insomma un posto tutt’altro che pericoloso. Ma naturalmente il settimanale inglese parla di Taiwan come la possibile arena di battaglia tra America e Cina. Perché è vero che la Cina ne rivendica la territorialità, ed è vero che negli ultimi anni le provocazioni militari nello stretto di Formosa, quello che divide la Cina da Taiwan, si sono intensificate.
Ma secondo il settimanale inglese adesso c’è davvero il rischio concreto di una guerra, perché la famosa “strategica ambiguità” dell’America su Taiwan - cioè riconoscere la politica di una sola Cina eppure difendere l’indipendenza di Taiwan - si sta rompendo. L’isola – indipendente e democratica, al contrario da quanto affermato qualche sera fa da Massimo Giletti a “Non è l’Arena” – negli ultimi anni ha subìto una trasformazione enorme, e ha iniziato a rivendicare la propria identità e indipendenza mentre la comunità globale di fatto la ignorava. Erano gli anni in cui l’essere anti cinesi non era una bandiera politica, e anzi chiunque voleva fare affari con Pechino. E tutti chiudevano le ambasciate di Taiwan, e tutti lasciavano che Taiwan fosse esclusa dai tavoli internazionali.
Quando l’occidente all’improvviso ha scoperto il bullismo cinese (il caso di Hong Kong è emblematico) è tornato a bussare alla porta di Taiwan. Ma parlare di una possibile guerra per Taiwan, oggi, significa fare esattamente il gioco cinese: Pechino vuole essere considerata una minaccia. A forza di raccontarla questa guerra, come in una profezia che si autoavvera, rischiamo l’incidente nello Stretto. Solo che la Cina è pronta a combattere fino in fondo per riavere Taiwan, l’America non è pronta ai costi di una guerra nel Pacifico.