Editoriali
Mettere un chip sul futuro dell'Europa
La sfida sui microchip che l’Ue deve vincere contro America e Cina
Le difficoltà nell’approvvigionamento di microchip, il cuore dei sistemi elettronici, non riguarda più solo l’industria dell’auto tedesca come denunciato giorni fa dalla Bundesbank, ma anche il resto del mondo (Stellantis fermerà l’impianto di Melfi per una settimana a maggio, Honda si blocca per tre settimane in Giappone, Elon Musk, proprietario di Tesla, lo definisce “un problema enorme”) e si estende al mercato dei cellulari. Luca Maestri, responsabile finanziario di Apple, prevede una riduzione dei guadagni e delle vendite nel 2021; stessa cosa per la rivale Samsung. Guadagni e vendite che peraltro il lockdown aveva enormemente aumentato.
Altre voci sono meno pessimistiche come quella di Jean-Marc Chery, ceo di StMicroelectronics, secondo il quale una buona pianificazione garantisce scorte sufficienti fino al 2022, ma questo sembra valere meno proprio per le automobili che con la pandemia hanno venduto poco, e per la manifattura digitalizzata, anch’essa sconta la crisi del 2020. Ma il cuore del problema lo centra, sul Financial Times, Pat Gelsinger, ad di Intel, lo storico colosso californiano dei semiconduttori: “L’Europa rischia di restare schiacciata tra la leadership tecnologica americana e la capacità produttiva orientale. Ne può uscire l’Ue con una forte alleanza tra governi e industrie per competere con i paesi che vedono la produzione di chip come una priorità nazionale”.
Altro che smart working di massa e a oltranza, e altro che Via della seta. Si tratta di tornare a guardare all’asse con la vecchia “ex new economy” americana, cosa in apparenza più facile con Joe Biden alla Casa Bianca, ma soprattutto di contrastare la strategia di lunga data della Cina per accaparrarsi terre, materie e metalli rari – non solo silicio ma anche cobalto, grafite, litio, niobio. Bisogna però per prima cosa credere in un destino comune della Ue, rafforzandone la politica estera anche al servizio dell’industria, e capire che il futuro digitale non è uno slogan buonista ed egualitario tipo “uno vale uno”.
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