Editoriali
La verità, vi prego, sulle tasse
Draghi è fortissimo, ma occhio a zombie del passato come il redditometro
Torna il redditometro? Il dipartimento Finanze del ministero dell’Economia ha avviato una consultazione pubblica delle “associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori” perché dicano la loro su questo strumento anti evasione fiscale. Chi stabilisce la rappresentatività di queste associazioni lo sanno solo i talk show; ma perché loro e non il Parlamento e le organizzazioni produttive e le associazioni produttive? La risposta può stare nel fatto che il fisco agisce già in base alla correlazione tra redditi dichiarati e spese effettuate: se compri un immobile o un’auto non congrui l’accertamento dovrebbe scattare in automatico. Com’è normale. Ma il redditometro riporta alla memoria l’invenzione di Giulio Tremonti nel 2011, quando l’ex ministro verificò l’esistenza di troppi suv in relazione agli imponibili, decidendo di correlare i consumi alla denuncia dei redditi. Il governo Monti tradusse tutto in una app primordiale scaricabile dai contribuenti, con cento voci e relativi algoritmi, un incubo divenuto zombie, riapparso ora tra gli umani.
In attesa di capire è bene ricordare che Mario Draghi si è impegnato per una riforma fiscale “necessaria ma non certo a pezzi per semplificare e razionalizzare il prelievo e ridurre gradualmente il carico fiscale, preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici”. Citando la Danimarca ha promesso una commissione indipendente per offrire al Parlamento un progetto organico. Da allora il centrodestra è tornato alla carica con la flat tax, sia pure a tempi medi, con la variante meloniana “incrementale”. Il Pd ha sposato in gran parte l’aliquota progressiva costante alla tedesca. Tutti chiedono lo sfoltimento degli scaglioni. Enrico Letta vuole la tassa di successione sopra i 5 milioni “a favore dei giovani”. Alla sua sinistra l’idea è declinata in patrimoniale tout court, a beneficio di Salvini & Co. (che si aspettava?). Draghi è fortissimo. Ma lo era anche George Bush sr., che perse la Casa Bianca tradendo la promessa “Read my lips, no new taxes”.