Editoriali
L'altra caccia a Palamara
L’accusa cambia per la quinta volta il capo d’imputazione. Qualcosa non va
La procura di Perugia ha modificato il capo d’imputazione nei confronti di Luca Palamara. Di nuovo. È la quinta volta in un paio di anni. Inizialmente, a maggio del 2019, all’ex presidente dell’Anm venne contestata la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio: secondo i pm Palamara, come membro del Csm, aveva ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara per ottenere la nomina dell’allora pm di Siracusa Giancarlo Longo a procuratore di Gela (nomina mai avvenuta). Sulla base di quella accusa venne iniettato il trojan nel telefono di Palamara, da cui poi sono state estratte le chat che hanno terremotato il Csm e la magistratura. Ma, dopo poco tempo, questa asserita corruzione svanisce: scompaiono i 40 mila euro, Longo, Amara e Calafiore. Ad aprile 2020, a Palamara vengono contestati viaggi e lavori edili eseguiti a casa di una sua amica e pagati dall’amico imprenditore Fabrizio Centofanti per averlo a disposizione: compare l’accusa di corruzione per l’esercizio della funzione.
Successivamente si cambia, specificando che Palamara sarebbe stato comprato per le funzioni svolte quale membro del Csm. Anzi no, la quarta accusa è che Palamara avrebbe ricevuto tutti quei vantaggi da Centofanti anche quale magistrato della procura di Roma ed esponente del Csm, per svariate attività come l’acquisizione di informazioni riservate e la disponibilità a indirizzare le nomine come quella di Longo (che ritorna, ma stavolta senza i 40 mila euro). Ora, in seguito a nuove dichiarazioni, Palamara è accusato di essere stato corrotto per aver partecipato alle famose cene pagate da Centofanti, anche se non si è specificato quali. L’ipotesi è di corruzione per l’esercizio delle funzioni e non più quella in atti giudiziari, ma siamo quasi a un passo dal traffico d’influenze. Palamara, a prescindere dai presunti reati, è sicuramente il simbolo di una magistratura che non funziona. Ma l’indagine contro di lui, condotta in questo modo, dimostra che i problemi sono ancora tutti lì, anche dopo la sua rapida cacciata dalla magistratura.
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