Editoriali
Il gelato al gusto dell'ipocrisia: il vecchio solito boicottaggio contro Israele
Rapimenti iraniani e repressioni cubane. Eppure il marchio di gelati di proprietà britannica Ben & Jerry’s ha pensato bene di porre fine alla vendita dei suoi prodotti nei territori palestinesi occupati. La solita ossessione
Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accusato quattro membri dell’intelligence iraniana di avere pianificato il rapimento a New York di Masih Alinejad, celebre militante contro l’obbligo del velo e fondatrice del movimento dei “Mercoledì bianchi” (giorno in cui le donne iraniane si tolgono il velo in segno di protesta). Nelle stesse ore, “Prisoners Defenders” ha documentato 112 sparizioni forzate a Cuba, un bilancio della repressione del regime castrista dopo lo scoppio di decine di proteste senza precedenti in tutto il paese. Lo ha confermato ad ABC il presidente della ong, Javier Larrondo. Cubalex ne conta 150, tra arrestati e desaparecidos, in un database che continua ad aggiornare, secondo Radio Martí. Altre organizzazioni, come Cuba Decide, parlano anche di cinque morti. Vengono arrestate anche semplici persone che gridano “libertà”.
Tra gli scomparsi di questi giorni ci sono diversi artisti, come Luis Manuel Otero Alcántara, fondatore del Movimento San Isidro; diversi attivisti, come José Daniel Ferrer e suo figlio, di cui non si sa nulla. Né si sa dove si trovi un altro leader dissidente, Guillermo Fariñas, psicologo, giornalista e Premio Sakharov. Nelle stesse ore è arrivata la notizia che l’azienda di gelati americana Ben & Jerry’s ha posto fine alla distribuzione e vendita delle sue prelibatezze nei negozi della Giudea e Samaria. “Ben & Jerry’s porrà fine alle vendite del suo gelato nei territori palestinesi occupati. Riteniamo che sia incoerente con i nostri valori che il gelato di Ben & Jerry’s venga venduto nei territori palestinesi occupati. Ascoltiamo e riconosciamo anche le preoccupazioni condivise dai nostri fan e partner di fiducia”. Il vecchio solito boicottaggio d’Israele. Il marchio appartiene alla multinazionale britannica Unilever, altra corporation che pare si sia adeguata alle altre, impegnate in corsi di recupero contro il “privilegio bianco”, ma molto silenziose sugli abusi in Cina, per esempio, o negli altri due regimi, Iran e Cuba. Lo Xinjiang è lontano.