Editoriali
I costi della transizione energetica
L’Europa può aiutare l’Italia a non pagare un prezzo maggiore degli altri
In Europa 3.500 miliardi; 90 mila a livello globale. Sono i costi stimati che l’industria dovrà affrontare entro il 2050 per la transizione ecologica e digitale, oggetto del G20 di Napoli. Come ha detto Emma Marcegaglia, ex presidente Eni e unica esponente del mondo imprenditoriale invitata dal ministro Roberto Cingolani, regista assieme all’inviato della Casa Bianca John Kerry, “un ruolo trainante lo avranno i fondi pubblici ma saranno i privati ad addossarsene la maggior parte”. Solo in Europa mille miliardi arriveranno dai governi, altri 2.500 dal settore privato. Come? Il Recovery plan prevede strumenti che andranno ben oltre il 2026 e il Next Generation Eu: gli stessi primi tentativi di Eurobond hanno scadenze trentennali.
Dunque servono banche e fondi come per le precedenti rivoluzioni industriali. Scrive Aspenia, la rivista dell’Aspen institute Italia: “Gli ultimi dati mondiali di marzo 2021, della Climate Bonds initiative, indicano che il volume aggregato di obbligazioni verdi private, stati ed enti sovranazionali ha raggiunto i 257,7 miliardi di dollari nel 2019, con una crescita del 51 per cento sul 2018”. Sul post pandemia ci sono le indicazioni di JP Morgan, pronta a emettere bond per mille miliardi di dollari, e quanto stanno già facendo big energetici come Enel, Repsol e Enbridge che a giugno hanno collocato bond per 7 miliardi. Un altro mercato che sta affiorando è per le vecchie tecnologie riciclabili, a prezzi iper scontati, come già per i crediti deteriorati delle banche. Ma per dirla ancora con la Marcegaglia “servono le condizioni perché si possa agire: chiarezza, regole coordinate tra i vari paesi e un terreno di gioco livellato per tutti. Mi riferisco alle informazioni che le aziende sono chiamate a rendere disponibili, alla definizione delle regole di bilancio”. Se si prevedono troppo stringenti il rischio è che non ci siano le risorse per sostenere i vari settori. I quali a loro volta devono vedersela con la concorrenza cinese, russa e indiana, che al G20 di Napoli si sono mostrati reticenti.