Editoriali
Ribellarsi alla propaganda
Il boicottaggio d’Israele e la rivincita dell’atleta iraniana rifugiata
Un secondo judoka si è ritirato dai Giochi olimpici per non dover affrontare l’israeliano Tohar Butbul. Questa volta a rinunciare è stato il sudanese Mohamed Abdalrasool, dopo che l’algerino Fethi Nourine era già stato sospeso dalla federazione internazionale dopo il rifiuto di affrontare Butbul. “Abbiamo lavorato molto per andare alle Olimpiadi, ma la causa palestinese è qualcosa di più grande”, ha detto l’atleta alla televisione algerina. Il caso del sudanese è ancora più grave ed emblematico.
A gennaio, il Sudan ha avviato un processo di normalizzazione nell’ambito degli Accordi di Abramo. Purtroppo, la normalizzazione diplomatica ha tempi diversi da quella altrettanto importante della cultura. Un cantante tunisino, Noamane Chaari, a dicembre ha caricato su Internet il video di una canzone che aveva registrato con un musicista israeliano, Ziv Yehezkel, un ebreo iracheno. Un invito a costruire ponti tra ebrei e arabi. Il giovane musicista è stato oggetto di minacce di morte. A Boualem Sansal hanno tolto il premio per il romanzo arabo dopo che ha partecipato a un festival letterario a Gerusalemme. Per avere visitato Israele, lo scrittore egiziano Ali Salem ha visto la propria carriera distrutta. E quando Sarah Idan, la regina di bellezza dell’Iraq, ha fatto un selfie con Miss Israele, si è scatenato un concorso di violenza verbale.
Kimia Alizadeh, campionessa di taekwondo, ai Giochi di Londra era stata la prima donna iraniana a conquistare una medaglia olimpica. Poi, un anno fa, Alizadeh era fuggita dicendo che il governo iraniano non l’avrebbe più utilizzata “per fare propaganda”. Si è stabilita in Germania con lo status di rifugiata. Ora a Tokyo, nella squadra dei rifugiati, ha sconfitto l’iraniana Nahid Kiani. La pace con Israele sarà autentica, e non soltanto di carta, quando tanti atleti, anziché seguire i diktat dei propri regimi, faranno come Alizadeh e si ribelleranno alla propaganda.