Editoriali
Il pil cresce. È ora di tagliare i sussidi
Perché i buoni numeri sulla crescita impongono un cambio di rotta
Il pil italiano ha segnato nel secondo trimestre un aumento del 2,7 per cento, doppiando le attese in media attestate all’1,3. Questo secondo la stima preliminare dell’Istat determina una crescita acquisita (se cioè nei prossimi mesi l’economia restasse piatta) per il 2021 del 4,8, molto vicina ai 5 punti obiettivo, che sembrava ottimistico, del governo. “Crescita molto sostenuta” dice l’Istat, annotando “soprattutto il forte recupero nei servizi di mercato, il più penalizzato dalla crisi, dell’industria e di una sostanziale stazionarietà dell’agricoltura”. Negli stessi tre mesi la Germania fa 1,5, la Francia 0,9, la Spagna 2,8. Siamo sopra la media dell’Eurozona ma non è il caso di gonfiare il petto.
Innanzitutto perché normalmente l’Italia è in coda, e poi perché Germania e Francia sono i nostri principali clienti. Invece il pil degli Usa è cresciuto del 6,5 per cento, meno delle stime che indicavano 8,4. Questo si tradurrà in pressioni sulla Federal Reserve a non dare il via al rialzo dei tassi, mentre la Bce ha già detto che è presto per frenare la linea espansiva. Anche questo contribuisce. Da noi è bene riflettere sulla forte ripresa dei servizi di mercato, cioè non pubblici, e della manifattura: dato coerente con la fiducia delle imprese che tocca i massimi di sempre. Per non sprecare il vento buono serve abbandonare la logica dei sostegni, utili nel periodo nero, e impegnare le risorse, interne e dell’Europa, per spingere le imprese e le buone iniziative private: incentivi all’innovazione, semplificazioni amministrative, briglie sciolte alla piena concorrenza anche nei servizi pubblici e locali, il sospirato via libera ai cantieri, riprendere a costruire (bene), mandare in soffitta patrimoniali dichiarate o occulte. Perché questa congiuntura non resti un rimbalzo statistico, e si torni poi ai decimali di crescita degli ultimi anni; mentre bisogna prendere a modello gi anni 60, quelli del “miracolo”. Non perché lo chiede l’Europa ma perché serve a noi.
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