EDITORIALI

Per una cultura della vita

Redazione

Opposti estremismi in America sull’aborto. Ecco quello che manca

In South Dakota, un giudice federale ha abolito una legge che imponeva alle donne di ottenere una consulenza sulle alternative all’aborto prima di procedere con l’interruzione di gravidanza. Poche ore dopo, una legge del Texas, che vieta la maggior parte degli aborti dopo sei settimane di gravidanza, è entrata in vigore, dopo che la Corte suprema non ha dato seguito a una richiesta di bloccarla, introducendo così la legge sull’aborto più restrittiva d’America. La legge, nota come Senate Bill 8, equivale a un divieto quasi totale dell’aborto in Texas, che alimenterà ulteriormente le battaglie legali e politiche sul futuro di Roe v. Wade, la sentenza della Corte suprema del 1973 che stabilì un diritto costituzionale all’aborto. 


A differenza di altre questioni etiche, come le nozze gay, l’aborto è la grande questione morale attorno a cui l’America non ha mai raggiunto un consenso. E ci si continua a dividere attorno a opposti estremismi. Da un lato, vietare che una donna possa anche soltanto parlare con uno psicologo o un consulente sanitario che le esponga le alternative ad abortire. Dall’altro, una legge draconiana che mette di fatto al bando l’aborto, tranne quelli maturati entro le sei settimane. E’ una scelta dettata da un’etica che ha un proprio fondamento biblico (“non uccidere”), oltre che ippocratico (“non somministrerò farmaco abortivo…”). Ma il punto è che non si combatte l’aborto mettendolo al bando. Semplicemente ricompare altrove. 


Quello che serve e che manca è una politica dell’accoglienza della maternità che è sempre stata guardata con sospetto dai pro-choice e che è il vero lavoro pro-life duro da fare. Aiutare le potenziali madri a non essere sole. Sostenerle economicamente, moralmente, socialmente. Una relazione di aiuto. Promuovere una cultura della vita in cui sempre più donne possano scegliere per la vita e molte più vite possano essere salvate.

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