EDITORIALI
Processi mediatici, capitolo ennesimo
Accuse fragili, tanti annunci della procura. Così si chiude il caso Saipem
La decima sezione del tribunale di Milano ha assolto i dirigenti della Saipem dall’accusa di false comunicazioni al mercato e di aggiotaggio, in relazione soprattutto ai lavori in Algeria. La procura, forse rendendosi conto della debolezza dell’impianto accusatorio, aveva proposto la prescrizione dei reati per alcuni imputati, che invece hanno preferito affrontare il giudizio di merito, che è stato di assoluzione piena “perché il fatto non sussiste”. Già due anni fa il procedimento intentato all’Eni per presunte tangenti pagate in Algeria si era concluso con l’assoluzione in Cassazione, ma la procura aveva tenuto in piedi un secondo filone, in cui si contestava all’azienda di non avere comunicato tempestivamente le difficoltà emerse su questo appalto riducendo i guadagni previsti. Insomma, l’offensiva della procura milanese contro l’azienda petrolifera italiana è fallita su tutta la linea. Intanto chi l’aveva promossa, il pubblico ministero Giordano Baggio è stato promosso alla procura europea Antifrode, ma questa è un’altra storia.
Al di là della specifica vicenda giudiziaria, che si è conclusa bene per gli imputati, resta l’interrogativo sulle ragioni che hanno indotto la procura a mettere in piedi un’inchiesta basata su fragilissimi indizi e su interpretazioni opinabili (come l’accusa di avere “abbellito” il bilancio attraverso conferenze stampa). Certo, accusare l’Eni provoca un immediato interesse, il che conferisce alla procura un alone mediatico, l’immagine di un’autorità che non si ferma di fronte a nessuno. Questa ambizione alla popolarità, che mal si concilia con la funzione giudiziaria, è una molla che ha contribuito probabilmente a indurre le procure, non solo quella milanese, a infilarsi in procedimenti dalle basi fragili ma dall’eco immensa. E’ una patologia che, c’è da temere, non sarà guarita nemmeno dai numerosi insuccessi.
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