Editoriali
La bestiola contro Morisi
L’archiviazione (ovvia) non redime i suoi metodi. Ma manca qualche scusa
L’archiviazione per totale inconsistenza dell’inchiesta contro Luca Morisi per la famosa vicenda del “festino” agostano (e privato) dell’ex responsabile della comunicazione di Matteo Salvini – che per quell’indagine si dimise – decisa dalla procura di Verona non servirà, e giustamente, a riabilitare la Bestia né i metodi di propaganda contundente e spesso falsificante che Morisi ideò e mise in atto a favore del leader della Lega. Ma dimostra quantomeno una cosa, e per l’ennesima volta: il modo di condurre certe indagini ad alta rilevanza politica, e di lasciarle trapelare e poi gonfiare dai media, è un modo barbaro che il più delle volte conduce a clamorosi buchi nell’acqua. Quel che rimane ora, oltre a una vita privata violata ingiustamente, è il cattivo odore di un’altra “bestia”, quella dell’informazione che ha trasformato Morisi in un mostro. Un cattivo odore che si avverte, per fare un esempio, nel titolo di Repubblica, “Morisi, festino con droga e escort: la procura chiederà l’archiviazione”, dove quel che conta è ribadire un fatto, che però reato non è.
Nel clima di guerra civile permanente del nostro paese è ovvio, persino giusto, rimarcare che Morisi e la sua Bestia hanno pesantemente contribuito a peggiorare, anche personalizzandola, la comunicazione politica e sociale. Dunque essere stato ripagato di uguale moneta ci si augura possa essere un monito, per lui e per certi modi del suo partito. Manca però all’appello una necessaria autocritica: tutti gli indignati permanenti, i leoni da tastiera e gli autocertificati difensori della democrazia che, ad esempio, hanno gridato al golpe per l’innocua “bestiolina” di Rondolino, che fine hanno fatto, ora che c’era da riparare una stortura? Non pervenuti.