Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki, leader di Ungheria e Polonia (LaPresse) 

Editoriali

Linea dura dell'Ue su Polonia e Ungheria

Redazione

Non pagheremo le vostre derive illiberali: niente anticipo del Pnrr, dice l’Europa

A forza di giocare con il fuoco dello scontro con l’Unione europea sullo stato di diritto, i governi nazionalisti di Polonia e Ungheria si sono scottati. La Commissione ieri ha annunciato che è “improbabile” che riuscirà a dare il via libera ai piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) di Varsavia e Budapest prima della fine dell’anno, perché Mateusz Morawiecki e Viktor Orbán continuano a rifiutare di applicare le raccomandazioni di Bruxelles su indipendenza dei giudici, lotta alla corruzione, trasparenza degli appalti, prevedibilità del processo decisionale e meccanismi di audit e controllo di come vengono spesi i fondi dell’Ue. Concretamente questo significa che Polonia e Ungheria non riceveranno la quota di prefinanziamento del Recovery fund.

Unione europea, la linea dura contro Polonia e Ungheria

E non sono pochi soldi. Il cosiddetto “anticipo” del Recovery fund, che viene concesso dalla Commissione solo sulla semplice base degli impegni assunti con il Pnrr e non di investimenti e riforme effettivamente realizzati, vale 4,5 miliardi di euro per la Polonia e quasi 1 miliardo per l’Ungheria. I fondi non necessariamente sono persi per sempre. Ma Morawiecki e Orbán non potranno spendere subito una quota sostanziale delle risorse preallocate ai loro paesi (il 13 per cento del totale) e saranno costretti a rispettare scrupolosamente gli impegni se vorranno ricevere le diverse tranche dei 36 miliardi destinati alla Polonia e dei 7,2 miliardi promessi all’Ungheria. La linea dura della Commissione è una buona notizia.

 

Nelle scorse settimane a Bruxelles circolava voce che Ursula von der Leyen fosse pronta a dare il via libera al Pnrr della Polonia come gesto di appeasement.  Morawiecki e Orbán ora grideranno al complotto, sperando di capitalizzare sul sentimento anti europeo in vista delle rispettive scadenze elettorali. Ma sullo stato di diritto e la democrazia l’Ue non deve fare compromessi: i contribuenti europei non devono finanziare la deriva illiberale di Varsavia e Budapest.

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