Editoriali
Un altro New Green Deal è possibile
La guerra rimette in discussione il piano europeo verde. Cambiare si può
Per i nostri obiettivi di aumento delle energie rinnovabili il grosso ostacolo è rappresentato dai procedimenti autorizzativi, e se non lo superiamo non andiamo da nessuna parte”. Intervenendo al question time della Camera, Mario Draghi ha detto che il New Green Deal europeo dovrà essere temporaneamente sospeso e non solo per la guerra in Ucraina – riferimento alla momentanea riattivazione delle centrali a carbone e alle trivellazioni marittime – ma anche perché era già impastoiato nella burocrazia. Questo pur promettendo il rispetto degli obiettivi del Pnrr, 70 gigawatt di rinnovabili entro il 2026, “se si sbloccano le autorizzazioni in particolare per l’energia eolica”. È la prima volta che Draghi ne parla così apertamente. Eppure la visuale italiana su quella che pareva una direttrice scontata verso un futuro di emissioni zero a metà secolo, grazie alla sensibilità climatica dei paesi a libertà di mercato, coincide con una realtà scomoda che ancora pochi ammettono. Non è solo il problema della dipendenza dalla Russia.
L’8 febbraio, a 12 giorni dalla guerra, il governo cinese ha concesso all’industria siderurgica cinque anni di slittamento dal 2025 al 2030 del picco previsto nel consumo di carbone. Il 4 marzo la Deutsche Umwelthilfe, agenzia indipendente tedesca di monitoraggio della transizione verde, ha chiarito che l’abbandono del gasdotto Nord Stream 2 “non accelera la svolta verde, anzi è possibile che il quadro peggiori”. Joe Biden ha avviato negoziati con Venezuela e Arabia Saudita, l’ex Asse del male petrolifero. Il Venezuela di Nicolás Maduro, sotto sanzioni americane, ha le maggiori riserve mondiali di greggio, l’Arabia le seconde (e l’Iran le terze). Il petrolio venezuelano è pesante, la tecnologia di filtraggio è una specialità della Svezia che intendeva riconvertirla a uso non fossile. Si può anche credere che la guerra porterà più sensibilità ecologica favorendo la transizione, ma intanto servirà, molto più dei 100 mila miliardi dell’accordo climatico di Glasgow e della collaborazione di Cina e India, una sburocratizzazione globale.