Editoriali
Il disgelo tra Kirill e il Papa
Il Pontefice ha avuto un colloquio con il Patriarca di Mosca sulla guerra in Ucraina: "La Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”. La prudenza vaticana inizia a dare i suoi frutti
Quando meno ce lo si aspettava, il Papa e Kirill hanno avuto ieri una lunga conversazione video per fare il punto sulla guerra in Ucraina. Non era scontato, anzi: dopo le ultime omelie del Patriarca di Mosca in cui aveva sposato integralmente la causa di Vladimir Putin, la possibile mediazione della Santa Sede sembrava tramontare ancora prima di concretizzarsi. Invece, i due leader si sono parlati.
Due i comunicati, prima quello diffuso dai russi e poi la Nota della Sala stampa vaticana: “Papa Francesco ha ringraziato il Patriarca per questo incontro, motivato dalla volontà di indicare, come pastori del loro popolo, una strada per la pace, di pregare per il dono della pace, perché cessi il fuoco”. “La Chiesa – il Papa ha convenuto con il Patriarca – non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”. Entrambi – prosegue la Nota – “hanno sottolineato l’eccezionale importanza del processo negoziale in corso perché, ha detto il Papa: ‘Chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore’. Come pastori – ha continuato il Papa – abbiamo il dovere di stare vicino e aiutare tutte le persone che soffrono per la guerra. Un tempo si parlava anche nelle nostre chiese di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così. Si è sviluppata la coscienza cristiana della importanza della pace”. Si tratta di uno sviluppo importante, reso possibile proprio dalla linea prudente mantenuta dalla Santa Sede in queste settimane di guerra.
Se Francesco, dalla finestra del Palazzo apostolico, avesse denunciato l’aggressore chiamandolo per nome, avrebbe visto festeggiare chi, nell’ortodossia moscovita, non vede l’ora di tagliare definitivamente i ponti con Roma. E non avrebbe, con tutta evidenza, potuto giocare alcun ruolo nella delicata partita. Neppure Giovanni Paolo II, nel 2003, lanciò strali diretti all’America e ai suoi alleati, pur facendo intendere chiaramente cosa pensasse del conflitto iracheno. La diplomazia ha le sue vie: è opportuno percorrerle.