EDITORIALI
La faccia come il Tap
La missione in Azerbaigian degli ex No Tap del M5s per chiedere più gas
Il lavoro diplomatico del ministro degli Esteri Luigi Di Maio per cercare fonti energetiche alternative al gas russo è encomiabile e sta portando risultati positivi. Con il viaggio in Azerbaigian, la sesta missione in un mese, dove il ministro era accompagnato dal fido scudiero nonché sottosegretario Manlio Di Stefano, l’Italia è riuscita a concludere un accordo per assicurarsi per quest’anno 2,5 miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas che si vanno a sommare ai 7 miliardi di metri cubi che già fluiscono ogni anno. C’è però anche la possibilità di colmare l’intera capacità di trasporto che è pari a 10 miliardi di metri cubi. “La missione in Azerbaigian – ha detto Di Maio – è uno dei tasselli fondamentali per riuscire a renderci indipendenti dai ricatti della Russia sul gas”. E questo perché, come ha ricordato la Farnesina, all’Azerbaigian è collegato “l’unico gasdotto europeo realizzato negli ultimi anni indipendente dal gas russo”. Il nome di questo gasdotto, qualcuno lo ricorderà, è Trans Adriatic Pipeline (Tap).
La cosa paradossale, in questa vicenda, è che gli esponenti del governo che sono andati in Azerbaijan a chiedere più gas, Di Maio e Di Stefano, sono quelli che il Tap volevano chiuderlo. “Un progetto criminale”, lo definiva Di Stefano, che all’epoca capeggiava la fazione filoputiniana del M5s. “Sul Tap sono stato molto chiaro: il M5s era ed è No Tap”, diceva Di Maio quando era vicepremier del governo gialloverde capeggiato da Giuseppe Conte, che aveva cercato in tutti i modi di bloccare l’opera, ma “gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita”. La strada senza uscita era realizzare un’opera che ora per gli stessi protagonisti di allora è “fondamentale” per l’indipendenza del paese. E’ questo uno dei molti casi in cui le buone scelte di governo del M5s sono coincise con il non aver realizzato il proprio programma di governo.