Editoriale
L'embargo sul petrolio russo sarebbe lo scacco matto da parte dell'Ue
Gli ultimi dati degli apparati di Mosca delineano un crollo del pil all'8 per cento e un'inflazione pari al 17 percento. Smettere di comprare petrolio potrebbe dare la stoccata finale
Vladimir Putin e i suoi minacciano catastrofi economiche e rappresaglie contro i paesi che aiutano l’Ucraina, mentre la tv di stato paventa scenari di catastrofe nucleare. Ma dopo due mesi di guerra e sanzioni, se per l’occidente si parla di rallentamento della crescita, al limite di rischio recessione, e della necessità di trovare in fretta nuovi fornitori di idrocarburi, per la Russia si prospetta un crollo dell’economia che non si vede dai tempi del collasso dell’Unione Sovietica.
A delineare un’orizzonte cupo non sono solo le istituzioni internazionali o qualche oscuro avamposto della finanza occidentale, ma gli stessi apparati tecnici della Federazione russa: la Banca centrale, la Corte dei conti, il ministero dello Sviluppo economico, il ministero delle Finanze. La governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina ha detto che nel 2022 l’economia entrerà “in un periodo di trasformazione strutturale”, e che l’istituto non sosterrà il rublo a ogni costo “perché ciò limiterebbe l’adattamento alla nuova realtà”, paventando addirittura la regressione tecnologica. Secondo il think tank moscovita Center for Strategic Research (vicino al Cremlino e presieduto dal ministro dello Sviluppo economico) la pressione sull’economia metterà a rischio fino a 2 milioni di posti di lavoro, 200 mila solo a Mosca (a dirlo è il sindaco), mentre i lavoratori specializzati si allontanano dal paese. La Banca centrale e la Corte dei conti prospettano una contrazione del pil del -8,8 per cento se va bene e del -12,4 per cento se va meno bene, con un’inflazione del 20,7 per cento. Previsioni confermate dall’andamento dei dati reali e che sono ben peggiori di quelle del Fmi. Se gli europei sono preoccupati del carovita, i rudove l'embargossi hanno di che essere terrorizzati. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, dal 16 al 22 aprile l’inflazione è già salita al 17,7 per cento in termini annui contro il 17,62 per cento della settimana precedente (a febbraio, prima della guerra, era del 9 per cento). Nella relazione alla Duma il presidente della Corte dei conti Alexei Kudrin ha sottolineato che nelle condizioni attuali è molto importante “valutare i propri punti di forza e le proprie risorse”, ma tra spese di guerra e sanzioni la Russia rischia di finire senza punti di forza per rilanciare l’economia e senza risorse finanziarie per fare investimenti e fornire welfare ai cittadini.
Siamo abituati a pensare al gas naturale di cui la Russia è il primo produttore del mondo, ma in termini di entrate dal petrolio Mosca ottiene tre volte tanto rispetto a quello che ricava dal gas. Kudrin ha detto che quest’anno verranno spese tutte le entrate provenienti dal settore oil & gas, entrate che però saranno inferiori alle aspettative. Tra sanzioni occidentali e compagnie petrolifere straniere in partenza – che complicano l’estrazione e riducono la domanda – già nel 2022 la produzione di petrolio russa è sulla buona strada per scendere al minimo da 18 anni. L’allarme arriva dal ministro delle Finanze, Anton Siluanov, che nella sua proiezione ha detto che la produzione potrebbe segnare un -17 per cento, al livello più basso dal 2004. E i dati attuali confermano il trend: secondo la Tass, agenzia ufficiale del regime, nella prima metà di aprile la produzione petrolifera ha segnato -7,5 per cento rispetto a marzo.
Putin ha promesso di trovare mercati alternativi, ma come avviene per il gas, anche le infrastrutture per l’esportazione di petrolio sono per lo più orientate verso il mercato europeo che assorbe circa il 60 per cento dell’export di greggio. Se l’Ue dovesse arrivare all’embargo completo del petrolio russo l’entità del calo della produzione sarebbe la più significativa dagli anni 90, quando l’industria petrolifera ha sofferto gravemente per mancanza di investimenti. In un contesto di diffidenza globale, embargo e sanzioni la promessa di Putin non è realizzabile, e il settore petrolifero russo non sarebbe più in grado di riprendersi.
Le sanzioni quindi stanno funzionando, e insieme al sostegno alla resistenza ucraina sono lo strumento più pacifico per costringere il Cremlino a fermarsi dai suoi propositi e trovare un compromesso con Kyiv facendo tacere le armi. Il progressivo embargo sul petrolio, più semplice da adottare rispetto a quello sul gas, darebbe un colpo durissimo all’economia russa che è già sprofondata nella crisi peggiore da 30 anni. Non si capisce cosa stiano aspettando i governi europei.