Editoriali

Il Patto di stabilità sospeso anche nel 2023 non è un liberi tutti

Redazione

Non è solo una questione di ortodossia fiscale o di armonia intra-europea. Se i mercati dovessero mettere in dubbio la tollerabilità del debito dell’Italia, la zona euro tornerebbe alla casella 2010-12. La sostenibilità conta, dice Berlino

Mentre in Italia Matteo Salvini conduce le sue guerre sulle concessioni balneari e i valori catastali con entrambi gli occhi puntati sulle prossime elezioni, l’Europa deve fare i conti con problemi decisamente più gravi. La guerra di Vladimir Putin ha reso concreto il rischio di una stagflazione. La Banca centrale europea da giugno alzerà i tassi di interesse. E la montagna di debiti accumulati per rispondere alla pandemia non permette ai governi di avere lo spazio fiscale per compensare il venir meno degli stimoli monetari. La Commissione ieri ha scelto di non scegliere: il Patto di stabilità e crescita rimarrà sospeso anche nel 2023, ma “non è un liberi tutti”, ha avvertito il suo vicepresidente, Valdis Dombrovskis.
 

Bruxelles chiede a paesi come la Germania e Paesi Bassi di proseguire con misure espansioniste, perché il loro livello di debito è basso, e a quelli come l’Italia e la Francia di frenare la spesa corrente, perché ci sono rischi sempre più elevati di sostenibilità. La linea è sottile. I governi di Berlino e dell’Aia hanno deciso di stare al gioco, perché le incertezze della guerra sono troppe e si vogliono evitare vecchi conflitti sulle politiche fiscali. “La Germania prende nota della decisione della Commissione di mantenere la clausola generale di salvaguardia attivata per il 2023”, ma “sono impegnato ad avere finanze pubbliche sostenibili, il che significa tornare al nostro freno costituzionale sul debito”, ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner. “Siamo aperti alla proposta della Commissione” e ne “capiamo le ragioni”, ma “la possibilità di spendere di più non significa che si debba farlo”, ha detto la sua omologa olandese, Sigrid Kaag. Non è solo una questione di ortodossia fiscale o di armonia intra-europea. Se i mercati dovessero mettere in dubbio la sostenibilità del debito dell’Italia, la zona euro tornerebbe alla casella 2010-12. E per calmarli servirebbero misure molto più dolorose delle blande raccomandazioni della Commissione.