editoriale
Elliot ha venduto il Milan, risanandolo, vincendo e guadagnando. Ben fatto
Gli americani venuti qui per far profitto (si diceva) hanno risanato la società, l’hanno ristrutturata, hanno vinto e l’hanno venduta. Un modello vincente che forse dovrebbe essere preso in prestito anche da altre realtà italiane
Quando il fondo Elliott si trovò nel proprio portfolio il Milan dopo il fallimento dell’impresa temeraria dell’imprenditore cinese Yonghong Li, la squadra rossonera veniva data per spacciata da tutti gli esperti del settore. Ecco, si diceva, un club glorioso, sette volte campione d’Europa, finire così in basso, in mano a un fondo d’investimento americano, proprio quello che – narrava la vulgata pubblica – aveva mandato gambe all’aria l’Argentina. Addio sogni di gloria, l’arrivo di Paul Singer certificava il ridimensionamento totale del Milan. Quattro anni più tardi, Elliott vende per una cifra superiore al miliardo di euro (si dice tra 1,3 e 1,8) il club al fondo RedBird di Gerald “Gerry” Cardinale. E lo fa impacchettando il tutto con il diciannovesimo scudetto festeggiato una settimana fa, con i conti migliorati in modo visibile e – soprattutto – tangibile.
Sponsorizzazioni in crescita, brand in ascesa, valore complessivo aumentato. Come ai tempi d’oro della stagione berlusconiana che portarono il Milan non solo a essere il club più titolato al mondo, ma anche quello italiano con più affezionati tifosi nel mondo. Gli americani di Elliott venuti qui per far profitto (si diceva) hanno risanato la società, l’hanno ristrutturata, hanno vinto e l’hanno venduta. Con un modo tutto loro di fare sport: niente polemiche da bar sport, niente ricusazioni di arbitri, niente presidenti pronti a presidiare tutti i canali televisivi per lamentarsi e protestare. E avrebbero avuto svariate ragioni per farlo, basti pensare alle lungaggini eterne relative al futuro dello stadio milanese, dossier impantanato fra i soliti veti burocratici, comitati di quartiere, ecologisti devoti al partito del No.
Invece, low profile. Silenzio e lavoro. All’inglese, si direbbe, modello Premier League. Un modello vincente che forse dovrebbe essere preso in prestito anche da altre realtà italiane: si può vincere anche spendendo in modo ragionato e senza scagliare dardi contro l’arbitro cornuto.
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