editoriali
Le sviste di Giulio Tremonti sul Pnrr
Inflazione e gas: la ricetta di Fratelli d'Italia per cambiare il Recovery non funziona
Dice che Mario Draghi ha sbagliato tutto, che il “whatever it takes” è stato una mezza iattura per l’Europa, che già allora ebbe la malaugurata idea di seguire le ricette del presidente della Bce e non invece le proposte che proponeva lui – lui, cioè Giulio Tremonti. E fin qui, vabbè, siamo alle solite. Poi però il candidato di FdI, voluto da Giorgia Meloni al suo fianco per dimostrare di non essere più quella che ce l’ha con l’Europa, abbandona le recriminazioni sul passato per lanciarsi sulle proposte del futuro. E, rispondendo alle domande del Corriere della Sera, spiega che il Pnrr va modificato perché “è stato scritto in un’altra epoca”, spiega. “Non prevedeva l’inflazione, che adesso c’è; e prevedeva un sistema di investimenti sulla base di priorità che adesso non sono più le stesse”. Una frase, e tre sviste.
Anzitutto, il Pnrr prevedeva già un possibile impatto dell’inflazione: “Sulle risorse europee del Recovery fund è stato applicato il deflatore al 2 per cento annuo”, ha chiarito il Mef già nel febbraio scorso. Inoltre, e qui siamo alla seconda inesattezza, le linee guida del RePower Eu, che costituisce un capitolo aggiuntivo del Recovery proprio per fare fronte alla crisi energetica, annoverano già l’inflazione straordinaria di questi mesi come una possibile “circostanza oggettiva” che può giustificare, entro precisi limiti, modifiche ai target inseriti nel Pnrr. E qui si viene alla terza svista di Tremonti. Nelle modifiche che potranno essere apportate al Pnrr, nel contesto del RePower, le priorità – i 6 pilastri del Recovery – resteranno le stesse.
C’è scritto chiaramente nelle linee guida che la Commissione ha diramato a maggio: “Se il Piano modificato elimina o ridimensiona alcune misure, bisogna indicare in che modo il contributo complessivo del Piano sugli obiettivi strategici coinvolti nella modifica resterà al di sopra dei requisiti minimi”. Sulla transizione digitale, quindi, bisognerà continuare a investire almeno il 20 per cento delle risorse, su quella ambientale il 37, e così via. Residui di un’altra epoca, per Tremonti; ma con cui bisognerà comunque fare i conti.