Giorgia Meloni (LaPresse)

Editoriali

Il dilemma del Mite dice che la geografia dei ministeri è più urgente del totonomi

Redazione

Nel comporre il governo, prima ancora di scegliere i nomi dei ministri, Giorgia Meloni dovrà sciogliere i nodi dei dicasteri: uno dei primi da affrontare riguarda la Transizione ecologica. Che fare?

Nel comporre il governo, prima ancora di scegliere i nomi dei ministri, Giorgia Meloni dovrà sciogliere i nodi dei ministeri: e uno dei primi da affrontare riguarda la Transizione ecologica. Che fare? Mantenerlo nella sua attuale forma oppure tornare all’assetto precedente, con l’energia in pancia allo Sviluppo economico da un lato e l’Ambiente dall’altro? Ci sono pro e contro. Il Mite nasce da una richiesta di Beppe Grillo al momento della formazione del governo Draghi. L’idea ha senso: vista la centralità e l’esigenza di coordinamento tra le politiche energetiche e climatiche, mettere tutto in un solo contenitore per evitare che si pongano in conflitto come è stato nel passato. D’altro canto, l’esperienza di Roberto Cingolani – nonostante il generoso sforzo del ministro – si è rivelata più complessa di quanto, forse, inizialmente si pensasse. I due ministeri non si sono realmente fusi: il dipartimento Energia è rimasto una specie di provincia autonoma.

 

Anche per un fattore geografico: fisicamente gli uffici si trovano in via Veneto, all’interno del Mise, non sulla Cristoforo Colombo dove risiede il Mite. Insomma, la questione è sia simbolica sia pratica: tornare all’usato sicuro o scommettere su un disegno sulla carta più razionale ma che richiede un enorme sforzo organizzativo? Una terza via potrebbe essere quella di creare un ministero per l’Energia e il Clima separato sia dal Mise (che dovrebbe ritrovare la sua vocazione verso lo sviluppo, più che i tavoli di crisi) sia dall’Ambiente. Sebbene l’energia sia oggi la prima priorità del governo, l’individuazione di ministro e sottosegretari non sarà facile né tra le file della maggioranza (dove hanno perso il seggio alcuni dei parlamentari più esperti, come il leghista Paolo Arrigoni, che potrebbe aspirare a una posizione di governo) né al di fuori di essa (non è detto che i nomi finora circolati, da Paolo Scaroni ad Antonio D’Amato, siano interessati). L’incastro della politica energetica è delicato quanto e più del Mef, perché dalla capacità del governo di superare la crisi deriverà il primo vero giudizio sulla nuova maggioranza.

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