Editoriali
Il costo della diplomazia degli ostaggi
Brittney Griner, Viktor Bout: i regimi ci costringono a negoziare. Ma non si tratta di “cedere”
Brittney Griner è atterrata ieri all’aeroporto della base militare di San Antonio, in Texas, dopo dieci mesi agli arresti in Russia. Qualche ora prima, a Mosca, era arrivato Viktor Bout, il trafficante liberato dall’America e accolto in aeroporto come un eroe, tra i fiori e gli abbracci della moglie e della madre. Lo scambio di prigionieri tra America e Russia è avvenuto ad Abu Dhabi, e secondo quanto riportato dalla Bbc Washington e Mosca ci lavoravano da luglio. La cestista Griner è tornata a casa, così come uno degli uomini più ricercati dall’Fbi, ed è il segnale che la cosiddetta diplomazia degli ostaggi è ancora una delle forme più efficaci, per i regimi autoritari, per ottenere qualcosa dai paesi occidentali. E’ spaventoso, ma attualissimo.
Il 25 settembre dello scorso anno Meng Wanzhou, dirigente del colosso cinese di Huawei, è stata accolta all’aeroporto di Shenzhen come un’eroina. Era stata arrestata il primo dicembre del 2018 in Canada, su richiesta degli Stati Uniti, accusata di aver violato le sanzioni contro l’Iran. Poche ore dopo, Pechino aveva arrestato due cittadini canadesi, Michael Spavor e Michael Kovrig, con fumose accuse di aver messo in pericolo la “sicurezza nazionale”. I due Michael sono stati rilasciati solo in cambio della liberazione di Meng. Per la Cina l’uso della tecnica coercitiva degli ostaggi è una extrema ratio, ma per molti altri regimi autoritari è la normalità nei rapporti con l’occidente. Dall’Iran alla Corea del nord, ci sono decine di esempi di paesi che conoscono molto bene lo stato di diritto e ciò che un paese libero è disposto a fare per proteggere i suoi cittadini (soprattutto se un caso diventa mediatico). Ogni volta che la diplomazia degli ostaggi viene messa all’opera, a vincere è il paese autoritario che ottiene quello che vuole, ed è per questo che, soprattutto in America, la discussione sul “cedere” si riapre periodicamente. Ma è esattamente ciò che ci distingue dai paesi che considerano la vita umana, anche quella dei propri cittadini, soltanto merce di scambio.
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