Editoriali
Orbán toglie i veti per ottenere i fondi europei. Il successo dell'Ue
Il premier ungherese ha ceduto sulla tassazione minima delle multinazionali e sui pacchetti di aiuti finanziari all’Ucraina. In cambio Bruxelles ha approvato il Pnrr ungherese e ridotto dal 65 al 55 per cento i fondi di coesione sospesi
Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha tolto il suo veto sulla tassazione minima delle multinazionali e sui pacchetti di aiuti finanziari all’Ucraina. In cambio il Consiglio dell’Ue ha approvato il Pnrr ungherese e ridotto dal 65 al 55 per cento i fondi di coesione sospesi per il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto. In sintesi: Orbán ha ceduto per ottenere i soldi dell’Ue. Se il Pnrr ungherese non avesse ottenuto il via libera entro la fine dell’anno, il premier avrebbe definitivamente perso i quattro miliardi di euro del Recovery fund. Orbán ha ottenuto anche un miliardo di euro di sconto sulla sanzione per il mancato rispetto dello stato di diritto: il Consiglio ha deciso di sospendere 6,3 miliardi di euro di fondi della coesione invece dei 7,5 miliardi proposti dalla Commissione. Come abbiamo più volte detto, questi soldi servono eccome al premier ungherese per evitare, almeno per ora, un aggravamento della crisi finanziaria.
Per garantirseli Orbán ha dovuto di fatto ammettere che i soldi europei valgono più della sua parola, rendendo i suoi veti meno credibili. In ogni caso i soldi non arriveranno subito: i 4 miliardi del Recovery e i circa 6,5 miliardi della coesione saranno sbloccati soltanto se il governo di Budapest attuerà una serie di misure correttive per il rispetto dello stato di diritto. Per l’Ue il guadagno è evidente: il leader più ostile del gruppo è stato politicamente sconfitto; gli aiuti all’Ucraina saranno sborsati con rapidità e verrà adottata la tassazione minima alle multinazionali, che è un risultato storico. La compattezza europea ha avuto la meglio, dimostrando ancora una volta che l’ostilità del singolo viene disinnescata nel momento in cui gli altri operano in sincrono. Una menzione speciale va alla Repubblica ceca, che ha la presidenza di turno dell’Ue e che è riuscita a isolare Orbán, nonostante il premier ceco Petr Fiala sia un conservatore e nonostante il legame privilegiato che ha sempre unito i paesi di Visegrád (legame ammaccato da quando Putin ha invaso l’Ucraina). Questo accordo toglie anche la premier italiana Giorgia Meloni dall’imbarazzo di dover scegliere pubblicamente in un voto al Consiglio tra Orbán e lo stato di diritto.