Editoriali
È finita la pacchia del 25 aprile. Su cosa giudicare il governo nei prossimi mesi
Lavoro, crescita, Pnrr, Mes. Le prossime settimane daranno la misura piena delle capacità della coalizione guidata da Giorgia Meloni: a partire dal Cdm del Primo maggio
C’è un Consiglio dei ministri ambizioso fissato per il Primo maggio. L’invasione di campo celebrativo un po’ ha irritato i sindacati, ma di più li ha infastiditi la mancata convocazione di qualche forma di confronto, di tavolo, di consultazione. Perché nel giorno della Festa del lavoro è attesa una serie di misure, tra decreti e disegni di legge, con effetto significativo sul mercato del lavoro, sull’assistenza alle famiglie a basso reddito, sul fisco e la contribuzione in busta paga. Non parlarne un po’ prima con i sindacati può voler dire due cose. O è una scelta di volontaria chiusura al dialogo, e non sembra il caso, anche perché ricordiamo la partecipazione di Giorgia Meloni al congresso della Cgil e la comprensibile enfasi che l’ha accompagnata, mentre pochi giorni fa è stato a Palazzo Chigi Luigi Sbarra per parlare con il presidente del Consiglio della legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese sostenuta dalla Cisl. Oppure è una scelta dettata dalla convinzione di avere, come dire, il dovere di decidere, anche per rispondere al mandato elettorale e su temi in cui è possibile farlo senza incappare negli slogan inapplicabili riservati ad altri settori e saggiamente accantonati.
Insomma, i canali di dialogo restano aperti ma non si è applicata la liturgia della concertazione e per provvedimenti di grandissima portata. Può essere anche una scelta dovuta soprattutto al ministro del Lavoro Marina Calderone, fin qui tra i meno loquaci del governo e impegnata più a decidere i cambiamenti ai decreti Dignità e al Reddito di cittadinanza che ad annunciarli. Questo Consiglio dei ministri, nei fatti, sembra destinato a segnare il passaggio a una fase successiva del governo. C’è un po’ anche l’effetto 26 aprile, cioè il superamento della data in cui ha raggiunto il culmine lo scontro tra chi voleva inchiodare maggioranza e governo a una specie di pregiudiziale antifascista (con risultati scadenti) e chi cercava di affermare un superamento pragmatico e realista di quella pregiudiziale da realizzare con il pieno riconoscimento delle regole democratiche e dello stato di diritto. Passato il giorno fatale, al campo governativo resta qualche acciacco, certo, e anche la consapevolezza di aver segnato qualche buon punto. Soprattutto c’è un compito che si lega alla rinnovata fede democratica e cioè si tratta di mostrare come funziona una democrazia governante e perciò governando.
Qualcosa si è visto con le nomine, ma i tempi erano imposti da regole statutarie. Su altri temi si sono accumulati impegni e le prossime settimane daranno la misura piena delle capacità di questo governo. C’è la chiamata europea, ormai perentoria, a decidere sulla ratifica del Mes (secondo alcune fonti, al prossimo Eurogruppo in programma a Stoccolma l’Eurogruppo ha intenzione di chiedere al governo italiano una parola definitiva sulla ratifica). Il governo ha la fortuna della coincidenza con le trattative sul nuovo Patto di stabilità. Tenuti assieme i due argomenti si può provare ad annacquare quello più complesso, anche se solo per le idiosincrasie sovraniste, cioè ovviamente il meccanismo di stabilità. Il Def lascia molto da fare e da decidere, ma siamo già al momento dell’anno in cui deve cominciare a tradursi in manovra economica. Il lavoro sul Pnrr è enorme. Raffaele Fitto mantiene l’impegno dell’uso integrale delle risorse disponibili. Servirebbe una chiamata straordinaria, un impegno quasi emergenziale. La delega fiscale formalmente concede ancora tempo ma è necessario per il governo cominciare a mostrarne alcuni effetti, anche perché è un passaggio essenziale per la politica economica dei prossimi mesi e si integra con la manovra 2024. Di nomine ce n’è un’altra infornata, tra cui alcune di enorme visibilità (65 cda prima di dicembre, circa 500 nomine prima della fine dell’anno). La qualità delle scelte sulle caselle più pesanti potrebbe essere replicata, anche perché il giudizio sul governo, dal 26 aprile, ne sarà influenzato in misura pari agli effetti dell’intera politica economica.