editoriali
La “caccia al nero” di Saïed. Il rais tunisino soffia sull'odio razziale
Il presidente-dittatore si propone di combattere la “sostituzione etnica” a opera dei subsahariani. Servono strumenti di pressione funzionanti
Nella notte fra il 3 e il 4 luglio, la frustrazione e l’odio razziale hanno preso il sopravvento a Sfax, seconda città della Tunisia. I residenti sono insorti contro i migranti subsahariani, aggredendoli con sassi e spranghe e urlando slogan contro “i negri africani”. Gli scontri proseguono e si teme che possano contagiare il resto del paese. Tutto è iniziato con l’omicidio di un tunisino nella periferia della città, porto commerciale e industriale colpito dalla crisi economica e ridotto oggi a principale punto di partenza dei barchini dei migranti verso l’Europa. Un deputato, Tarek Mahdi, ha condiviso un video che riprendeva l’uomo ferito a morte: “Sono stati gli africani, sono ovunque”, ha denunciato Mahdi, che mostra sui social un selfie con Kaïs Saïed, il presidente-dittatore che si propone di combattere la “sostituzione etnica” a opera dei subsahariani. La “caccia al nero” è culminata con una giustizia sommaria e brutale.
Decine di migranti, fra cui minori e donne incinte, sono stati prelevati dalla polizia e abbandonati nel deserto al confine con la Libia. Alcuni video mostrano i subsahariani percossi, senza acqua, cibo e cellulari. Molte delle 500 persone ammassate alla frontiera hanno i documenti in regola, sono lavoratori, studenti o richiedenti asilo. Ma nello stato di polizia imposto da Saïed basta il sospetto per essere respinti con violenza. Ieri Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr, ha detto che la Tunisia avrebbe “l’obbligo di rispettare le Convenzioni per i rifugiati del 1951 e del 1969”, ma nessuna delle due è stata ratificata da Tunisi (né dalla quasi totalità dei paesi del Nord Africa). L’Europa ha bisogno di dialogare con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo per regolare il flusso delle migrazioni, ma fatica a trovare strumenti di pressione che facciano sì che il dialogo sia affidabile e che vengano rispettati i princìpi umanitari. Più spesso del previsto prevale la logica del ricatto dei paesi come la Tunisia, che vuole fondi senza accettare alcuna condizione. Questa prevaricazione è confermata da un numero che parla da sé: +455 per cento di partenze dalla Tunisia rispetto al 2022.