Editoriali
Orbán (il turco) conta sempre meno in Ue
Il premier ungherese continua a perdere peso nella politica europea, per fortuna c’è Trump a lodarlo a scambiarlo per il leader della Turchia
Viktor Orbán ha un talento che abbiamo avuto modo di osservare nel corso degli anni e riguardo al quale ci siamo anche interrogati a lungo: ma come fa il leader di un nazione con meno di dieci milioni di cittadini, meno della regione Lombardia a fare tanto rumore dentro all’Ue? Il peso conta, ma Orbán è stato sempre bravo a contare il quadruplo, tanto da far arrivare la sua fama fino agli Stati Uniti, dove per un Partito repubblicano in cerca di autore, di leader, di ispirazione il premier ungherese è diventato addirittura un mentore. Alla corte di Orbán sono arrivati repubblicani di vario calibro, anche Tucker Carlson, quando ancora era a Fox News, andò in Ungheria a intervistare Orbán per sapere la sua opinione su tutto. Orbán diede la sua opinione anche sulla Cina, e scoprirono che tra repubblicani e orbaniani era meglio non parlare di Pechino.
Addirittura Donald Trump, l’uomo che ha sconquassato il Partito repubblicano, creando una crisi di identità e anche di nervi, è intervenuto in video durante un summit di Orbán. Tra i due c’è ammirazione, tanto che l’ex presidente, a Derry in un comizio ha detto: “Viktor Orbán, qualcuno ne ha sentito parlare? È probabilmente uno dei leader più potenti al mondo – e fino a qui al premier sarà straripato l’ego – è il leader della Turchia”. Forse Trump si è confuso, forse confonde la Turchia con l’Ungheria, forse voleva soltanto dire una cosa sgradita agli europei citando l’uomo che di nuovo ha detto che l’Ue di oggi è come l’Urss di un tempo. L’ego di Orbán si sarà ridimensionato. O forse no; rimane il fatto che Trump ha fatto il suo nome parlando di coraggio e di leadership. Orbán è sempre più isolato, si diverte a esercitare il suo veto a Bruxelles, a correre a Pechino, a stringere la mano a Putin, a comportarsi come un disturbatore senza risultati. Ma che importa se Trump ha sbagliato e l’ha messo a capo della Turchia – perché no, magari un giorno, si sarà detto il premier ungherese – il suo motto è sempre stato lo stesso: i risultati importano poco, importa parlarne, creare disordine.