Editoriali
Giornali e social mettono in bocca a Parolin la parola “genocidio” su Gaza. Balle
Si è rischiato l’incidente diplomatico fra Vaticano e Israele. Fake news da guerra santa
In tempi di polemiche sanremesi su genocidi e libertà d’espressione, ieri sera s’è rischiato l’incidente diplomatico fra la Santa Sede e Israele, che già nelle settimane dopo il 7 ottobre non ha mancato di far notare il proprio disappunto (eufemismo) per le “ambiguità” delle autorità ecclesiastiche a Roma e in Terra santa rispetto al pogrom di Hamas e sodali. Poco dopo le 19, infatti, le agenzie, Repubblica e diversi telegiornali titolavano sicuri: “Parolin, sdegno per il genocidio”.
I social immediatamente sono stati invasi da commenti, naturalmente divisi per tifoseria: da una parte chi brindava al cardinale scopertosi barricadero ed emulo di Ghali, dall’altra chi provava orrore nel vedere il capo della diplomazia vaticana fare proprie le tesi di un figuro qualunque del jihad palestinese. Con tutto quel che poi, a livello di cancellerie, ne sarebbe conseguito. Peccato che il segretario di stato non abbia mai pronunciato la parola “genocidio”. Conoscendo la prudenza del porporato, sarebbe sembrato strano il contrario. La trascrizione delle parole di Parolin: “La Santa Sede l’ha detto fin dall’inizio: da una parte, una condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre, e qui lo ribadisco; una condanna netta e senza riserve di ogni tipo di antisemitismo, e qui lo ribadisco, ma nello stesso tempo anche una richiesta perché il diritto alla difesa di Israele, che è stato invocato per giustificare questa operazione, sia proporzionato. E certamente con 30 mila morti non lo è”. “Bisogna avere il coraggio di andare avanti e non perdere la speranza”. Ancora, “diceva sant’Agostino che la speranza poggia sullo sdegno e sul coraggio. Credo che tutti siamo sdegnati per quanto sta succedendo, per questa carneficina, ma dobbiamo avere il coraggio di andare avanti e di non perdere la speranza perché, se perdiamo la speranza, incrociamo le braccia. Invece bisogna lottare fino in fondo e cercare di dare fin dove possibile il nostro apporto, il nostro contributo”. Carneficina, non genocidio. In guerra le parole hanno un peso, tutte.