Editoriali
Anche se Navalny fosse morto di freddo. L'omicidio prima dello scambio
Non si sa come sia morto l’oppositore, ma la scoperta della causa del decesso cambia poco in questo momento. La sua morte non è altro che la vendetta di Putin contro ogni oppositore
Maria Pevchikh, collaboratrice di Alexei Navalny, ha raccontato che pochi giorni prima della morte dell’oppositore, si stava finalizzando uno scambio: la Russia avrebbe riavuto Vadim Krasikov, l’agente dell’Fsb condannato in Germania per l’assassinio di un ex combattente ceceno nel 2019, e avrebbe liberato Alexei Navalny e altri due detenuti americani. Allo scambio, racconta Pevchikh aveva lavorato l’oligarca russo Roman Abramovich, ma Vladimir Putin avrebbe fatto fallire tutto, ordinando l’assassinio di Navalny. Non si sa come sia morto l’oppositore, il corpo è stato restituito a sua madre Lyudmila, ma la scoperta della causa della morte cambia poco in questo momento. Ogni oppositore, dissidente, difensore dei diritti umani sa che qualsiasi sentenza è destinata a farlo sparire.
Ieri c’è stata l’ultima udienza del processo contro Oleg Orlov, copresidente di Memorial, l’associazione ha ricevuto il premio Nobel per la Pace ma in Russia è stata bandita. Orlov è un difensore dei diritti umani, è accusato di diffamazione contro l’esercito russo: è sceso in strada con dei cartelli contro la guerra e ha spiegato ai russi perché è un atto incostituzionale. Aveva già subìto un processo e gli venne comminata una multa. Poi il processo è stato riaperto, non è la prima volta che accade: la lotta giudiziaria contro gli oppositori è uno stillicidio, un invito a non sentirsi mai al sicuro. L’accusa ha proposto quasi tre anni di carcere, la sentenza sarebbe dovuta essere pronunciata ieri, invece si deciderà oggi. Orlov è sempre stato un oppositore del Cremlino, è un uomo di scienza e si è rifiutato di rispondere alle domande dell’accusa o di presentare testimoni, perché poco cambia in aula se tutto è già deciso, e far finta di fidarsi che i processi non siano una farsa non serve a nulla. Ogni oppositore che si trova in carcere, ogni dissidente che affronta un processo, dopo la morte di Navalny, sa che la marcia del regime contro l’opposizione si è fatta più brutale. E non è perché il Cremlino si sente più debole, ma perché sente di poter fare tutto ciò che vuole, contro chiunque.