Editoriali
Nell'inferno di Haiti
Mentre i dittatori fischiettano, Blinken arriva in Giamaica a cercare soluzioni
Dopo che l’America ha completato l’evacuazione del personale non essenziale della loro ambasciata a Port-au-Prince – che resta aperta, ma con la sicurezza garantita dai Marines – anche l’Ue ha spostato lo staff da Haiti “in zone sicure” non specificate. A dieci giorni dall’attacco al carcere in cui, il 2 marzo scorso, ci sono stati decine di morti e sono fuggiti quasi 4 mila detenuti, la situazione è fuori controllo. Jimmy “Barbecue” Cherizier, l’ex poliziotto divenuto capo di bande armate che terrorizzano il paese, minaccia un “genocidio” se il primo ministro Ariel Henry non si dimette. L’80 per cento del paese ora è controllato dalle bande, l’aeroporto è teatro di una battaglia dopo l’altra, il porto ha chiuso. In un paese martoriato dal terremoto di 14 e poi di 3 anni fa, e da una situazione politica sempre più in bilico: per l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, avvenuto nel luglio del 2021, sono stati accusati tra gli altri la vedova, l’ex primo ministro e il direttore della polizia. Per risolvere la situazione si è offerto lo spaccone presidente salvadoregno, Nayib Bukele, che vuole esportare la sua dura politica contro le bande criminali.
Anche il governo del Kenya ha promesso di mandare truppe, bloccate però dalla magistratura. Ieri la Caricom, l’alleanza delle nazioni caraibiche, ha convocato gli inviati di Stati Uniti, Francia, Canada e Onu per un incontro in Giamaica. Il segretario di stato americano Antony Blinken è atterrato sull’isola, affannosamente ricavando tempo da una quantità di altre crisi, per convincere il premier haitiano a farsi da parte, insistere con il governo kenyano, e portare i primi aiuti economici alla popolazione. Mentre il Papa prega per la pace, e Pechino protegge i suoi interessi altrove, la crisi di Haiti esplosa oggi si prepara in realtà da più di un anno. Ma nel nuovo mondo multipolare, tra potenze che rivendicano la loro egemonia sul mondo, i paesi in crisi è sempre all’America (e ad altri paesi occidentali e ai loro programmi di sviluppo) che si rivolgono per chiedere aiuto. E è da loro che lo ricevono.