Editoriali
Biden si rafforza a est per contenere la Cina
La Casa Bianca punta sul premier giapponese Kishida e sul presidente delle Filippine per rispondere all'aggressività di Xi Jinping
Ogni minimo particolare, nell’accoglienza del presidente americano Joe Biden e della first lady Jill al primo ministro giapponese Fumio Kishida e a sua moglie Yuko, ieri alla Casa Bianca, aveva un messaggio: la nostra alleanza non è mai stata così forte. Dalla cena di stato tra fiori di ciliegio al concerto privato di Paul Simon, membro dello storico duo Simon & Garfunkel. Al capo del governo nipponico mancano pochi mesi per arrivare ai suoi mille giorni di leadership, un caso raro nella storia democratica del Giappone, ma il suo indice di gradimento a casa non era mai stato così basso. Anche per questo Kishida sta puntando tutto sulla politica estera e sul suo profilo moderato, ma che sin dall’inizio della guerra in Ucraina ha preso una posizione precisa nel mondo: al fianco dell’occidente contro le autocrazie. Kishida e Biden vogliono cambiare il modo in cui i paesi nel Pacifico subiscono l’assertività e l’aggressività di Cina, Russia e Corea del nord, rafforzando la cooperazione militare ed economica e anche rafforzando la produzione congiunta di armamenti.
E’ un cambiamento strategico importante, alla vigilia di quello che a Tokyo chiamano “mochi Trump”, la possibilità che torni Trump alla Casa Bianca e con lui una politica fatta meno di alleanze, e più di recriminazioni. A unire Tokyo e Washington in questo momento c’è soprattutto la minaccia cinese, ed è per questo che oggi in America arriverà anche il presidente di Manila Ferdinand Marcos Jr., per il primo trilaterale della storia fra America, Giappone e Filippine. Pechino rivendica gran parte del Mar cinese meridionale illegittimamente, e lo fa esercitando pressioni soprattutto sulle Filippine. Proiettare forza e potenza militare lì significa aiutare Manila ma anche contenere la Cina militarmente. E’ il motivo per cui da giorni la stampa cinese critica in modo violento la diplomazia americana, che provocherebbe “correnti sotterranee di confronto, pericoli e conflitti”. E’ il segnale che Pechino è spaventata dalle alleanze delle democrazie.